[Alla luce di quanto scritto sotto e dello smascheramento di cosa consista in realtà la candidatura di Renzi alle primarie dovrebbe essere chiaro alla base del PD che non rimane una cosa da fare: o votare in massa Bersani alle primarie, mettendo così finalmente a tacere (almeno dai processi decisionali) quella che si potrebbe a ragione definire "l'ala PDL" del partito, oppure votare il terzo incomodo: Vendola, per dare uno strappo sicuro contro il governo Monti e tagliare la testa al toro sulla vicenda dei conflitti interni.
Quello che infatti il PD non ha ancora capito è che la mossa per vincere le elezioni è solo una: dare la spallata al governo Monti, sfiduciarlo, il prima possibile! In questo modo non si dilapiderà il vantaggio attuale, si acquisteranno centinaia di migliaia di voti e si otterrà il governo con una stragrande maggioranza in senato e camera.
Cosa succede invece? Il PD perde tempo con delle primarie inutili che gli fanno perdere questo vantaggio e mettono il partito in cattiva luce verso gli elettori indecisi (e lo ha detto anche Bersani nel discorso a Bettola che il governo Monti sopravvive solo grazie alla fiducia del PD. Ma cosa si aspetta a dargli una morte assistita visti gli ultimi provvedimenti antipopolari contro classi medio-basse e basse? Il "volemose bene" all'interno del partito vale davvero tutto questo?).
Sono primarie nelle quali se Renzi perde: spaccherà il partito, se Renzi vince: lo farà diventare un partito di destra, e che se si aspetta ancora: si metterà in pericolo la vittoria alle elezioni.
Cosa fare quindi?
Bisogna dare la spallata al governo Monti e contemporaneamente a Renzi; prendere una politica e un programma definitivo decisamente sterzante a sinistra; lasciare che Renzi se ne vada con quattro gatti verso UDC, Api e resti di Fli (anche il PDL potrebbe spezzarsi in due e si potrebbe ricomporre una nuova AN, più Msi che AN, anche con trasfughi di Fli); e prendere il voto delle masse con una costante, pertinente e coerente propaganda di sinistra, popolare, per il lavoro, per una maggiore equità, per più diritti, per un welfare forte e migliore, e che non manchi di riconoscere i meriti nell'avere sostenuto il governo Monti quando era indispensabile all'Italia e di averlo fatto cadere, senza remore, quando persisteva con manovre inique e superflue che danneggiavano la stragrande maggioranza degli Italiani a favore di pochi.
Cosa aspetta il PD a fare questo?
Cosa aspetta il PD a prendere i voti degli indecisi, a schiacciare definitivamente la destra becera, ignorante, berlusconiana e parassita che ha governato in questi anni?
Cosa aspetta a scacciare definitivamente il pericolo dell'antipolitica?
Questo cambiare tutto (apparentemente) perchè non si cambi nulla (realmente), rappresentato da Grillo e Renzi, e che ora si sta moltiplicando e ripetendo in sempre più strane personalità, improbabili megafoni anti-politici e anti-politica, come Oscar Giannino, Montezemolo, Della Valle e Tremonti (Aspen come Sassoon) che portano avanti le stesse idee e la stessa propaganda di Grillo con solo meno battute e meno uscite "alla cazzo di cane".
Ma allora il PD vuole andare al governo SI o NO?]
venerdì 19 ottobre 2012
Rottinculo e terza repubblica
Per quanto possa contare, sono d’accordo con Malvino
quando dice, a proposito di Renzi, che quanto sta avvenendo porterà “all’inevitabile scissione del partito» e che in tal modo non
avrà solo “rottamato la vecchia classe dirigente del partito, ma il partito”. E
sono anche d’accordo quando scrive, un po’ sibillinamente, che tale risultato
“non sarebbe quello che ha voluto o almeno ha fin qui dichiarato di volere”.
Credo proprio che l’operazione di Renzi, persona di formazione cattolica e
orientamento reazionario, consista proprio nel far esplodere nel Pd le
irrisolte contraddizioni, quelle di un partito nato come contenitore
“dell’ibrida chimera di Moro e Berlinguer”, ma che ha trovato sulla sua strada
– mi pare evidente – un blocco sociale che si è opposto – spaventato – a ogni
pur minima velleità riformista (in definitiva a tenere insieme ciò che oggi si
chiama Pd è stato soprattutto l’antiberlusconismo, se non altro quello di
facciata). Dove vada a parare politicamente la faccenda
Renzi, ovviamente i “vecchi” boss del partito l’hanno compreso benissimo. Però
c’è dell’altro, qualcosa che traspare meno e che Veltroni, sempre lesto nel
cambiare distintivo, ha colto subito, smarcandosi per tempo.
Questo
qualcosa ha a che fare – ben oltre le apparenze – pur sempre con quel
blocco sociale che si è opposto – attraverso il berlusconismo – a ogni pur
minima velleità riformista. Anche in questo, Malvino coglie bene quando interpreta
che “Grillo e Renzi insieme fanno il
Berlusconi che fino a ieri incarnava un blocco sociale”. Credo però non sfugga a nessuno che si
tratta di un blocco sociale di classe che sta usando il malcontento e
la protesta a piene mani di un'area sociale tradizionalmente di
"sinistra" o comunque intesa come progressista, per un progetto – in
definitiva – di conservazione (la "rivoluzione" fascista, non fu
conservatrice?). Il solito cambiare tutto perché tutto resti come prima.
[Eh già tutti a parlare di quanto è bella l'unione tra cattolici e ex-comunisti nel grande disegno riformista del PD, e poi si scopre (o più che altro, per i piddini: finalmente ci si rende conto) che c'è qualcuno che ancora vede il PD nell'ottica di una guerra di classe che ancora persisterebbe, però l'ottica è dal punto di vista della destra e dei privilegiati, ed ecco che l'auto-moderatissimo PD diventa il nemico, è sempre troppo estremista e quindi ci vuole un Renzi.]
Dove non sono d’accordo – se interpreto bene – con Malvino, è quando egli conclude
così: “L’operazione non è riuscita”. Non direi. È
vero e non è immaginabile che la borghesia possa lasciare in mano a
Renzi una qualsiasi effettiva leva di potere (ammesso che oltre a
rottamare e spaccare il partito riesca ad imporsi), tantomeno a Grillo,
ma l’operazione
è ancora in corso e non è detto –
tutt’altro – che ne conosciamo i contorni, nazionali e internazionali.
Renzi e Grillo (questi, suo malgrado) – lo si vede dallo spazio
mediatico che occupano – fanno parte di un progetto, quello appunto di
rottamazione di una classe dirigente per sostituirla con un'altra o
comunque ridurne il peso e l'egemonia.
[Fate attenzione agli interventi di Marco Damilano durante la sue partecipazioni a PiazzaPulita su La7.
Damilano ha recentemente scritto un libro: "Eutanasia di un potere" sulla rottamazione della dirigenza della prima repubblica e sulla nascita della seconda.
Damilano sembra avere ben presente le similitudini tra quel periodo e quello presente e infatti non esita a riconoscere la stessa propaganda e parole di Grillo in altri personaggi, ricchi e politici, i cui propositi sembrano proprio quelli di rottamare la seconda repubblica e la sua classe dirigente. (A vantaggio di chi? Dovrebbe essere questa la domanda che dovrebbe venire in mente a tutti, e non siamo certo noi, popolino dei ceti bassi, che ne trarremo vantaggio)
Il problema è che questa "rottamazione" non si limiterà a distruggere la classe politica odierna, ma mira a far diventare lo Stato uno strumento asservito in tutto e per tutto alla grande borghesia e ai poteri economici senza possibilità di riforma o d'intervento del popolo attraverso una classe politica responsabile e davvero al suo servizio.
La politica non deve più essere portatrice d'idee e di una visione trasformatrice del mondo per migliorare la vita dei cittadini, ma una semplice amministrazione dell'esistente (a favore del profitto di pochi).
Questo si vuole inculcare nella testa dei cittadini: si vuole fare in modo che siano essi stessi a volere il loro male! Si vuole che scelgano un male ancora maggiore (per loro stessi) rispetto a quello attuale! Non si vuole migliorare la situazione attuale, la si vuole solo sfruttare!
Certo, già spesso è così, già spesso lo Stato e le pubbliche amministrazioni sono asservite agli interessi di pochi, di persone già ultra-ricche. Ma si vuole fare in modo che sia sempre così, si vuole fare in modo che sia definitivamente così.
Si vuole tornare alla servitù della gleba, in versione moderna, formato XXI secolo, Medioevo 2.0.
L'operazione è questa, e se pensate che sia una fantasia, ne possiamo sempre riparlare fra qualche decennio, forse anche solo uno. Vedremo chi aveva ragione.
Ricordatevi però che il mondo è governato dal denaro, e chi ha il denaro ha il potere. E' sempre stato così e probabilmente non cambierà tanto presto.
Nel frattempo ringraziamo tutti i politici corrotti e arraffoni, indegni approfittatori e schifosi egoisti, che hanno coadiuvato il perseguimento di questo bel disegno antidemocratico.]
Nel 2013 questa operazione di
stampo populista porterà alla nascita della cosiddetta terza repubblica.
Il 9
novembre dell’anno scorso scrivevo: “l’errore di ieri, di non aver votato
contro [Berlusconi], è possibile che si riveli anche più grave e denso di
conseguenze. Magari non subito, ma nel tempo, nei prossimi mesi”. E il 17
novembre: “Il suicidio politico del Pd, continua. Alle prossime elezioni si
arriverà al funerale”. Se non proprio al funerale, all’estrema unzione.
Assistiamo, soprattutto, a una crisi complessiva di sistema che
lascia spazio a molte incognite e pericolose derive. La borghesia autoctona, il
blocco
sociale di classe di cui dicevo, crede
di poter governare questa crisi e anzi di saperne approfittare ancora una volta
per cogliere, al momento opportuno, fior da fiore. E tuttavia l’Italia, nel quadro
strategico complessivo, ha il destino segnato, da sempre si potrebbe dire. Come
scrivevo ieri, i grandi poteri puntano sulle debolezze nostre (cioè corruzione
e criminalità politica) per distruggere alcuni settori importanti dell’economia che ci vedono come concorrenti sul mercato internazionale e per comprare pezzi rilevanti del nostro patrimonio.
Fonte: Diciotto Brumaio
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venerdì 19 ottobre 2012
Sulla cosiddetta rottamazione / 1
Sulla
cosiddetta rottamazione ho letto un bel po’ di sciocchezze in questi
ultimi giorni. In primo luogo, che sarebbe un termine violento,
addirittura «fascistoide», comunque poco rispettoso della dignità dei
cosiddetti rottamandi, perché «si rottamano le cose, non le persone»,
ecc. Cazzate.
La politica vive di metafore violente, perché è guerra che si serve di
armi non cruente, ma sempre guerra è, sicché le immagini che ne
riproducono l’impiego e l’effetto non possono fare a meno del gergo
militare, eventualmente di quello sportivo, perché anche l’agone
atletico è sublimazione della pratica bellica.
Ora, è vero, possiamo
andar fieri del fatto che i conflitti tra opposti interessi, e tra le
opposte fazioni che ne sono il portato, abbiano trovato modo, lungo la
storia, di consumarsi senza spargimento di sangue, ma pretendere che
siano svuotati della loro sostanza, perdano la tensione che è propria
dei conflitti, e al punto da riuscire a fare a meno delle immagini che
ne rappresentano la topica, beh, mi pare sia pretender troppo. E
tuttavia l’ipocrisia s’è fatta colma quando nel lamentare la durezza del
termine s’è cimentato anche chi ha sempre fatto sfoggio di ben più
truce idioletto.
Un’altra
corbelleria che ho visto raccogliere molto consenso in questi ultimi
giorni è quella che dà corpo all’opinione che i rottamandi si dovrebbero
rottamare da soli. Sarebbe questione di buon gusto, pare. A me, invece,
pare una stronzata, perché anche se spogliassimo un professionista
della politica di tutti i privilegi di cui solitamente gode in qualità
di parlamentare o dirigente di partito o amministratore della cosa
pubblica – ammesso sia possibile, voglio dire – dalla carica che
riveste, dal ruolo che interpreta, dalla funzione che svolge non
riusciremmo mai a strappare l’elemento di gratificazione psicologica,
assai forte in alcuni individui, che è dato dal rappresentare, per
meriti individuali, un’entità sovraindividuale che il professionista
della politica intende, a torto o a ragione, come proiettato del suo
universo.
Rinunciare a questa gratificazione significa rinunciare ad una
considerazione di se stessi che spesso è stata lungamente coltivata,
nutrita di vittorie e sconfitte, entusiasmi e delusioni che quasi sempre
finiscono per embricarsi col vissuto personale del politico
professionista: tanto più difficile rinunciare a questa gratificazione,
se a vantaggio di chi non si stima o addirittura di chi si disprezza,
perché di là dai benefici materiali ai quali il rottamando è chiamato a
rinunciare – non voglio ignorarne il peso nella resistenza alla
rottamazione, e tuttavia qui sto prendendo in considerazione l’ipotesi,
tutta virtuale, che sia nullo – col rottamarsi o il farsi rottamare è
in gioco un ridimensionamento della propria immagine. Difficile
da farsi, tanto meno di buon grado, soprattutto se in mancanza di una
gratificazione che si sia venuta a prospettare come più allettante.
Relativamente
a questi due primi punti, insomma, direi che è lecito da parte di Renzi
la volontà di rinnovare la classe dirigente che il Pd ha ereditato
dalla Dc e dal Pci. È altresì lecito, da parte sua, ma anche di chiunque
altro, l’uso del termine rottamare. Per il poco che conta, a me non
piace: penso abbia l’innaturalità di certi tic retorici del gergo
aziendale, sicché a «rottamare» finisco per preferire un assai più
ruvido «far fuori».
Un’altra
cazzata che ha tenuto banco in questi ultimi giorni, poi, è che la
volontà di rottamare l’attuale classe dirigente del Pd abbia trovato un
efficace strumento nella petulanza di Renzi, come se insistere nel
chiedere a qualcuno di andare a casa – abbiamo visto rinunciando a cosa –
basti ad ottenerlo. Fosse così, parte del merito del passo indietro
fatto da Veltroni e da D’Alema, fatta la necessaria distinzione del
perché e del come sono giunti alla stessa decisione di non ricandidarsi
al Parlamento, spetterebbe anche a quanti, con Renzi, hanno cominciato a
chiederlo da un lustro e più. Così non è, perché anche Renzi non è che
l’epifenomeno di quel noto processo osmotico che non tollera il vuoto e
lo riempie di qualsiasi cosa, non importa quanto rarefatta o densa: la
forza che spinge Renzi non gli è dietro ma davanti, Renzi non avanza per
pulsione ma per trazione, non si fa largo ma lo trova.
In
altri termini, Renzi va ad occupare parte dello spazio che è lasciato
libero anche a Grillo dal collasso della massa flottante sullo zoccolo
duro dei consensi al Pd.
Ma Renzi ormai può crescere ancora solo
spostando a destra il baricentro del Pd, però causando in questo modo
una inevitabile scissione del partito: così non avrà «rottamato» la
«vecchia» classe dirigente del partito, ma il partito.
Tenuto conto del
fallimento del progetto che portò democristiani e comunisti ad inverare
l’ibrida chimera di Moro e Berlinguer, non ne sarebbe che il momento
catalitico, ma non sarebbe quello che ha voluto o almeno ha fin qui
dichiarato di volere.
Vorrei segnalare un’ultima cazzata, prima di tentare una
spiegazione del perché tutte abbiamo così facilmente acquisito credito:
Renzi sarebbe un democristiano. Oppure: sarebbe un liberista. Penso
siano attribuzioni più che arrischiate: Renzi è un populista, è l’altra faccia del populismo di Grillo.
Prima era un tutt’uno in Berlusconi: poi il nastro di Moebius si è rotto e si è ricomposto in due facce,
l’una becera e l’altra piaciona. Grillo e Renzi insieme fanno il Berlusconi che fino a ieri incarnava un blocco sociale in fieri.
L’operazione non è riuscita.
[...]
Fonte: Malvino