sabato 1 settembre 2012

I problemi di Grillo

Antonio Moscato
Sabato 16 Giugno 2012

Ho rinviato per parecchio tempo un commento alla crescita del Movimento 5 Stelle, limitandomi a rifiutare la campagna di demonizzazione di questo fenomeno che lo definisce una “manifestazione di antipolitica”. Non solo perché per me è ovvio che non si tratta di “antipolitica”, ma di una proposta diversa, anche se non convincente, ma perché sono convinto che la sua ascesa è comunque una giusta punizione per un ceto politico incapace di rinnovamento, e che non sa ascoltare che i suoi simili, da molto tempo. Uso consapevolmente questo concetto di “ceto politico” nei confronti di tutti i partiti, che Livio Maitan aveva cominciato a usare da molti anni, scandalizzato soprattutto dai comportamenti anche esteriori di gran parte dello stesso gruppo parlamentare di Rifondazione, che considerava “colleghi” quelli che avrebbe dovuto invece considerare avversari di classe.

Ma questo successo del movimento che fa capo alla persona di Beppe Grillo, (che di fatto ha avuto per anni un compito di coordinamento, rappresentanza, collegio di garanzia, cassiere), crea non pochi problemi al proprio interno, di cui ha parlato lo stesso Grillo in due interessanti interviste fattegli da Gian Antonio Stella (su “SETTE” del “Corriere della sera” del 1° giugno) e da Marco Travaglio su “Il Fatto Quotidiano” del 13 giugno.

Naturalmente Grillo non ha rinunciato a molte battute “da comico”, come: “vogliamo arrivare al 100% dei voti, soli contro un governo di tutti” (banchieri, finanzieri, Confindustria, vecchi partiti, Montezemolo…), oppure: “mi tocca diventare moderato, sennò questi partiti spariscono troppo rapidamente”. Ha spiegato poi francamente la tecnica dei suoi “comizi”, in cui recita per accontentare la gente: “in due ore di spettacolo posso dirne [di parolacce] per 30 o 40 secondi. Ma [i giornalisti] vogliono vedere solo quelle perché si rifiutano di sentire cosa dico. In una piazza aperta, per arrivare alla gente, in fondo, devi gridare. È la mia caratteristica, il finto iroso, il finto arrabbiato”. In un mondo in cui gran parte dei leader politici mentono, Grillo con queste ammissioni conquista altra simpatia. 

Ma i problemi vengono al pettine appena ammette che la centralizzazione del movimento (il logo è suo e lo dà o lo nega a suo insindacabile parere) dovrebbe servire a bloccare infiltrazioni, e poi si scopre che ha accolto sul suo blog l’incredibile cialtrone Willer Bordon, che ha cominciato la sua carriera politica nel PCI rivendicando la doppia tessera col partito radicale, e poi ha fatto le più incredibili giravolte, ottenendo sempre minori consensi (volle ad esempio fortemente le primarie per la scelta del sindaco di centrosinistra in alcuni comuni dei Castelli Romani, e riuscì ad ottenere consensi irrisori, un risultato da Guinness dei primati).

Ora ha preso il posto di Travaglio nel “Passaparola” sul blog di Grillo, grazie al suo “Manifesto per l’abolizione dei partiti”. Lui sì che se ne intende, ne ha passati tanti… In base a quale imperscrutabile criterio Grillo sceglie, accetta o rifiuta? Se lo domandano anche molti suoi sostenitori.


Non entro nel merito delle polemiche tra Grillo e Valentino Tavolazzi, il ferrarese che era stato scelto dal neo sindaco di Parma Pizzarotti come direttore generale del comune, e che è stato bloccato da Grillo perché “espulso” (poi, essendo risultato che almeno formalmente non era esatto, ha detto che era stato “allontanato dal movimento”). Non mi interessa sapere qual è la versione esatta, ma sono preoccupato per la motivazione addotta da Grillo nell’intervista rilasciata a Traverso: “È onesto e competente. Ma [Tavolazzi] fa politica da troppi anni, ha la testa a forma di partito: faceva riunioni, parlava ai nostri ragazzi di votazioni, organismi interni, cariche, strutture verticali. Noi non siamo così”. 

Tavolazzi in realtà, a parte una breve esperienza di consigliere di circoscrizione per il PCI, ha cominciato a far politica con una lista civica riconosciuta da Grillo nel 2008-2009. Davvero è troppo tempo che fa politica? Sicuramente ce ne sono molti altri nella stessa condizione tra gli eletti nelle liste nel movimento 5 stelle. E soprattutto, come si può pensare a gestire in questo modo personale la selezione e il controllo di un movimento cresciuto impetuosamente? A Parma hanno dovuto bandire una specie di concorso per assegnare gli assessorati, esaminando i candidati (autocandidati!) in un colloquio con l’ausilio di uno psicologo. Speriamo bene, ma i criteri sono ancora assai vaghi, e ricordano più le improvvisazioni politiche di Sgarbi sindaco di Salemi che un nuovo modo di far politica. 

Inoltre l’orrore di Grillo per gli statuti non è condiviso neppure da Carlo von linkX, il rappresentante dei Piraten tedeschi venuto in Italia per stabilire rapporti con organizzazioni affini, che ha detto di aver trovato nel M5S “un «non statuto», come lo chiamano, che invece di definire metodi democratici di organizzazione prevede solo il copyright del marchio. C’è qualcuno, insomma, proprietario del movimento, c’è qualcuno che ne può disporre”.

Ma indipendentemente da quel che pensa l’esponente dei Piraten, già l’esistenza di diverse realtà di governo locale non lontane tra loro, ma non abituate a un funzionamento comune, imporrà dei criteri organizzativi per definire una posizione comune, ad esempio sulle politiche governative che riguardano gli enti locali e più in generale i cittadini. 

Per il momento la linea generale la dà Grillo, che è anche riuscito con il suo ruolo storico a far accettare al sindaco Pizzarotti la rinuncia alla collaborazione di Tavolazzi, ma con qualche tensione. Un altro degli esponenti importanti (per i risultati elettorali ottenuti), mi pare genovese, che ha accettato di intervenire in un dibattito a La7 mentre Grillo aveva detto che non si doveva andare in TV, aveva precisato che “finché non c’è un’organizzazione nazionale, il mio parere vale quello di Grillo, poi quando ci sarà un organismo comune rispetterò le decisioni della maggioranza”: di fatto proprio quello che Tavolazzi proponeva… 

La battuta di Grillo sui “vecchi partiti” che dovrebbero rallentare la loro crisi per non sparire, è divertente, ma lascia trasparire la logica preoccupazione di una sostanziale impreparazione del M5S ad assumere un ruolo politico nazionale. Quali delle molte proposte avanzate da Grillo, ma anche da altri esponenti del movimento in diverse occasioni, andrà avanti? Chi deciderà se riconoscere o negare il diritto di cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia, o se è lecito proporre di mandare i rifiuti a bruciare in Olanda perché tanto “se i bambini olandesi si beccano il cancro, non sono io che governo l’Olanda” (come ha dichiarato irritato Pizzarotti alle prese con l’eredità dello smaltimento dei rifiuti). 

Il grosso delle proposte politiche di Grillo nell’intervista a Travaglio sono condivisibili e innegabilmente di sinistra: tagliare spese militari, nazionalizzare autostrade e telefoni, frequenze radio e TV, che “sono roba di tutti”, energia e acqua devono essere pubbliche. No a TAV e cacciabombardieri, benissimo.

Un po’ meno di sinistra la soppressione delle province che, come ho spiegato più volte, è un sottoprodotto della campagna diversiva contro la “casta”, e ha un risvolto negativo: chi curerà l’edilizia scolastica e le strade provinciali? La regione? Allora sarà un cambiamento apparente e soltanto di nome. O si abbandoneranno anche quelle funzioni facendo “esodare” i loro dipendenti? E comunque, non a caso, lo aveva proposto prima Berlusconi e poi Monti… Ovviamente sarei a favore di questo e di ben altri tagli al mastodontico apparato statale, se avvenisse nel quadro di una riorganizzazione e democratizzazione generale. Quello che mi preoccupa è che possa contribuire all’accettazione di progetti governativi che servirebbero solo a far cassa licenziando un po’ di dipendenti, i meno protetti, mentre verrebbero riciclati altrove i funzionari-manager ben retribuiti. (Ne ho parlato recentemente a proposito della scuola in Profumo di ipocrisia, e del settore pubblico in generale in Onore al merito…)
Giusta l’argomentazione di Grillo per la sua proposta di fermare tutte le pensioni a 3.000 euro netti al mese: “tanto se guadagnavi milioni qualcosa da parte avrai messo”. Graziosa poi l’idea di far fare volontariato al suo dentista, che “per qualche ora a settimana dovrà operare gratis chi ha bisogno”…Anche se sarebbe meglio ricostruire un  vero servizio sanitario pubblico gratuito ed efficiente… 

Altro problema: chi e come deciderà la tattica a Parma per l’inceneritore? Nella prima intervista Grillo era comprensivo su alcune esitazioni di Pizzarotti subito dopo la sua elezione (“Ci sono penali. Contratti da andare a vedere. Vedremo. Cercheremo una soluzione”.), nella seconda è più netto sul rifiuto, ma pur sempre possibilista sulla tattica: “Le penali, se obbligatorie, si troverà il modo di pagarle”… Come, con una colletta? O tagliando altre voci del bilancio comunale? Bisognerà trovare un sistema per decidere, non basta fare la fuga in avanti passando alla critica generale (giustissima ma astratta) del “projet financing” e delle “multiutility” e lasciando nel vago il che fare ora.
L’altra proposta, l’uscita dall’Euro, è ugualmente da discutere: è giusta per rifiutare il ricatto della “cacciata dall’Europa”, ma fa parte del patrimonio di chiacchiere circolanti che non tengono conto che sono in crisi anche paesi senza l’Euro… Non dico che sia un sottoprodotto del martellamento contro “l’euro voluto da Prodi”, tanto caro a Berlusconi, alla Santanché (e alla Lega, alla cui crisi Grillo ha dedicato molta attenzione), ma certo non aiuta a capire l’origine profonda della crisi, che non è solo monetaria e tantomeno solo italiana, ma di tutto il sistema capitalista. 

Come non aiuta la chiarezza l’insistenza nel ribadire che le idee giuste non sono “né di destra né di sinistra”, e che i partiti sono tutti uguali. Due concetti che gli hanno permesso a suo tempo di appoggiare Berlusconi, o di cercare di presentarsi alle primarie del PD. Concetti che sono molto pericolosi in un movimento in cui è preponderante il ruolo di una persona sola, o al massimo di due, (se aggiungiamo il suo discusso factotum personale Gianroberto Casaleggio), entrambi a quanto pare non particolarmente forniti di un retroterra culturale solido. Sia chiaro, non si deve pretendere da un comico o da un artista o uno scrittore che abbia una buona cultura politica, tranne nel caso in cui scenda in politica spendendosi la sua popolarità, e rifiuti di mettersi in discussione nel movimento. Grillo dice che non si può: “Abbiamo provato a discutere dell’organizzazione tra di noi. Un disastro. Diventi un partito quando discuti della struttura”. 

Sia chiaro, è comprensibile questo rifiuto: ha attraversato quasi tutta la sinistra, per reazione agli esempi repellenti dei partiti burocratizzati: me lo sono trovato perfino nel Chiapas, quando molti compagni messicani rifiutavano il principio della delega revocabile in nome del consenso da ottenere nelle assemblee locali. Inutilmente gli ponevi il problema di come far esprimere una metropoli di sedici milioni di abitanti come Città del Messico con i metodi che funzionavano bene in comunità di poche centinaia di persone. L’ho ritrovato nell’Argentina delle cacerolas e dei piqueteros. È diffusissimo in tutta la sinistra semianarchica, abituata alla democrazia diretta delle piccole riunioni (magari con il sottoprodotto della sopraffazione di chi controlla gli altoparlanti, quando ci si trova in tanti a discutere in piazza, come nelle assemblee del Parque Centenario a Buenosa Aires). Un modello classico era la prima Lotta Continua, che formalmente “non aveva dirigenti”, e decideva in assemblee che si spostavano da una città all’altra, ma in cui operavano alcune centinaia di funzionari (pochissimo pagati e generosi, ma non eletti e quindi che non rispondevano a nessuno).

Lo ricordo non per fare una predica al nuovo movimento, ma per ricordare che abbiamo visto l’involuzione rapida, che pure non era fatale, di tante organizzazioni nate nella lotta e per la lotta: le ultime in ordine di tempo Solidarnosc e il PT brasiliano. Invece di demonizzare ogni organizzazione “verticale” e ripetere che i partiti sono sempre fatalmente uguali e dannosi, sarebbe meglio confrontarsi materialisticamente con la storia dei processi che hanno distrutto o trasformato pesantemente organizzazioni con un passato più che rispettabile una volta che si sono avvicinate alla soglia del potere. 

Ad esempio, e così chiarisco il senso delle mie perplessità sulla disponibilità al pagamento delle penali per la mancata realizzazione dell’inceneritore, nel dopoguerra spesso i comuni che il PCI amministrava insieme ai socialisti (che ugualmente erano davvero socialisti), spesso prendevano giuste decisioni che i prefetti, rappresentanti locali del potere centrale, annullavano. Lo scontro a volte arrivava fino allo scioglimento del consiglio comunale e a pesanti intimidazioni sui sindaci, ma non era inutile, perché spiegava concretamente ai cittadini il ruolo reazionario dello Stato, dell’istituzione prefettizia, ecc. Ma allora il PCI anche se non era più un partito rivoluzionario come pretendeva di essere (tanto è vero che aveva accettato di subordinare la resistenza a una coalizione interclassista finalizzata alla ricostruzione dello Stato borghese che era a pezzi, vedi sul sito Il PCI al governo, 44-47 o Il PCI al bivio), era però seriamente di sinistra. Proprio per questo, invece di denunciare “i partiti” in quanto tali come il male assoluto, sarebbe meglio studiarne materialisticamente la storia, per capire le ragioni della loro lunga fase di crescita quando erano discriminati e perseguitati, e poi le ragioni della loro rapida involuzione quando hanno cominciato a socchiudersi le porte delle cosiddette “stanze dei bottoni”.

Tanto più che lo stesso Grillo accenna a volte alla posssibilità e necessità di alleanze, ed anzi descrive i suoi tentativi di dialogo in varie fasi con Di Pietro, Bersani, Prodi (probabilmente in base alla sua convinzione che “i partiti sono tutti uguali, gli uomini no”, e che ci sarebbero anche “persone per bene”). Sarebbe meglio che il movimento 5 stelle riflettesse un po’ sul perché, nonostante ci fossero tante “persone per bene”, i partiti di sinistra, compreso il PRC, sono stati corrotti dalle possibilità di accesso al potere locale, e dalla tentazione di accedere a quello centrale, accettandone le regole del gioco, facendo progressivamente concessioni al nemico di classe, e quindi dovendo mentire sempre più spesso alla propria base sociale.

(a.m. 16/6/12)