Antonio Moscato
Sabato 16 Giugno 2012
Ho rinviato per parecchio tempo un commento alla crescita del
Movimento 5 Stelle, limitandomi a rifiutare la campagna di
demonizzazione di questo fenomeno che lo definisce una “manifestazione
di antipolitica”. Non solo perché per me è ovvio che non si tratta di
“antipolitica”, ma di una proposta diversa, anche se non convincente, ma
perché sono convinto che la sua ascesa è comunque una giusta punizione
per un ceto politico incapace di rinnovamento, e che non sa ascoltare
che i suoi simili, da molto tempo. Uso consapevolmente questo concetto
di “ceto politico” nei confronti di tutti i partiti, che Livio Maitan aveva cominciato a usare
da molti anni, scandalizzato soprattutto dai comportamenti anche
esteriori di gran parte dello stesso gruppo parlamentare di
Rifondazione, che considerava “colleghi” quelli che avrebbe dovuto
invece considerare avversari di classe.
Ma questo successo del movimento che fa capo alla persona di Beppe
Grillo, (che di fatto ha avuto per anni un compito di coordinamento,
rappresentanza, collegio di garanzia, cassiere), crea non pochi problemi
al proprio interno, di cui ha parlato lo stesso Grillo in due
interessanti interviste fattegli da Gian Antonio Stella (su “SETTE” del
“Corriere della sera” del 1° giugno) e da Marco Travaglio su “Il Fatto
Quotidiano” del 13 giugno.
Naturalmente Grillo non ha rinunciato a molte battute “da comico”,
come: “vogliamo arrivare al 100% dei voti, soli contro un governo di
tutti” (banchieri, finanzieri, Confindustria, vecchi partiti,
Montezemolo…), oppure: “mi tocca diventare moderato, sennò questi
partiti spariscono troppo rapidamente”. Ha spiegato poi francamente la
tecnica dei suoi “comizi”, in cui recita per accontentare la gente: “in
due ore di spettacolo posso dirne [di parolacce] per 30 o 40 secondi. Ma
[i giornalisti] vogliono vedere solo quelle perché si rifiutano di
sentire cosa dico. In una piazza aperta, per arrivare alla gente, in
fondo, devi gridare. È la mia caratteristica, il finto iroso, il finto
arrabbiato”. In un mondo in cui gran parte dei leader politici mentono,
Grillo con queste ammissioni conquista altra simpatia.
Ma i problemi vengono al pettine appena ammette che la
centralizzazione del movimento (il logo è suo e lo dà o lo nega a suo
insindacabile parere) dovrebbe servire a bloccare infiltrazioni, e poi
si scopre che ha accolto sul suo blog l’incredibile cialtrone Willer
Bordon, che ha cominciato la sua carriera politica nel PCI rivendicando
la doppia tessera col partito radicale, e poi ha fatto le più
incredibili giravolte, ottenendo sempre minori consensi (volle ad
esempio fortemente le primarie per la scelta del sindaco di
centrosinistra in alcuni comuni dei Castelli Romani, e riuscì ad
ottenere consensi irrisori, un risultato da Guinness dei primati).
Ora ha preso il posto di Travaglio nel “Passaparola” sul blog di
Grillo, grazie al suo “Manifesto per l’abolizione dei partiti”. Lui sì
che se ne intende, ne ha passati tanti… In base a quale imperscrutabile
criterio Grillo sceglie, accetta o rifiuta? Se lo domandano anche molti
suoi sostenitori.
Non entro nel merito delle polemiche tra Grillo e Valentino Tavolazzi,
il ferrarese che era stato scelto dal neo sindaco di Parma Pizzarotti
come direttore generale del comune, e che è stato bloccato da Grillo
perché “espulso” (poi, essendo risultato che almeno formalmente non era
esatto, ha detto che era stato “allontanato dal movimento”). Non mi
interessa sapere qual è la versione esatta, ma sono preoccupato per la
motivazione addotta da Grillo nell’intervista rilasciata a Traverso: “È
onesto e competente. Ma [Tavolazzi] fa politica da troppi anni, ha la
testa a forma di partito: faceva riunioni, parlava ai nostri ragazzi di
votazioni, organismi interni, cariche, strutture verticali. Noi non
siamo così”.
Tavolazzi in realtà, a parte una breve esperienza di consigliere di
circoscrizione per il PCI, ha cominciato a far politica con una lista
civica riconosciuta da Grillo nel 2008-2009. Davvero è troppo tempo che
fa politica? Sicuramente ce ne sono molti altri nella stessa condizione
tra gli eletti nelle liste nel movimento 5 stelle. E soprattutto, come
si può pensare a gestire in questo modo personale la selezione e il
controllo di un movimento cresciuto impetuosamente? A Parma hanno dovuto
bandire una specie di concorso per assegnare gli assessorati,
esaminando i candidati (autocandidati!) in un colloquio con l’ausilio di
uno psicologo. Speriamo bene, ma i criteri sono ancora assai vaghi, e
ricordano più le improvvisazioni politiche di Sgarbi sindaco di Salemi
che un nuovo modo di far politica.
Inoltre l’orrore di Grillo per gli statuti non è condiviso neppure da Carlo von linkX, il rappresentante dei Piraten
tedeschi venuto in Italia per stabilire rapporti con organizzazioni
affini, che ha detto di aver trovato nel M5S “un «non statuto», come lo
chiamano, che invece di definire metodi democratici di organizzazione
prevede solo il copyright del marchio. C’è qualcuno, insomma,
proprietario del movimento, c’è qualcuno che ne può disporre”.
Ma indipendentemente da quel che pensa l’esponente dei Piraten,
già l’esistenza di diverse realtà di governo locale non lontane tra
loro, ma non abituate a un funzionamento comune, imporrà dei criteri
organizzativi per definire una posizione comune, ad esempio sulle
politiche governative che riguardano gli enti locali e più in generale i
cittadini.
Per il momento la linea generale la dà Grillo, che è anche riuscito
con il suo ruolo storico a far accettare al sindaco Pizzarotti la
rinuncia alla collaborazione di Tavolazzi, ma con qualche tensione. Un
altro degli esponenti importanti (per i risultati elettorali ottenuti),
mi pare genovese, che ha accettato di intervenire in un dibattito a La7
mentre Grillo aveva detto che non si doveva andare in TV, aveva
precisato che “finché non c’è un’organizzazione nazionale, il mio parere
vale quello di Grillo, poi quando ci sarà un organismo comune
rispetterò le decisioni della maggioranza”: di fatto proprio quello che
Tavolazzi proponeva…
La battuta di Grillo sui “vecchi partiti” che dovrebbero rallentare la
loro crisi per non sparire, è divertente, ma lascia trasparire la
logica preoccupazione di una sostanziale impreparazione del M5S ad
assumere un ruolo politico nazionale. Quali delle molte proposte
avanzate da Grillo, ma anche da altri esponenti del movimento in diverse
occasioni, andrà avanti? Chi deciderà se riconoscere o negare il
diritto di cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia, o se è
lecito proporre di mandare i rifiuti a bruciare in Olanda perché tanto
“se i bambini olandesi si beccano il cancro, non sono io che governo
l’Olanda” (come ha dichiarato irritato Pizzarotti alle prese con
l’eredità dello smaltimento dei rifiuti).
Il grosso delle proposte politiche di Grillo nell’intervista a
Travaglio sono condivisibili e innegabilmente di sinistra: tagliare
spese militari, nazionalizzare autostrade e telefoni, frequenze radio e
TV, che “sono roba di tutti”, energia e acqua devono essere pubbliche.
No a TAV e cacciabombardieri, benissimo.
Un po’ meno di sinistra la soppressione delle province che, come ho
spiegato più volte, è un sottoprodotto della campagna diversiva contro
la “casta”, e ha un risvolto negativo: chi curerà l’edilizia scolastica e
le strade provinciali? La regione? Allora sarà un cambiamento apparente
e soltanto di nome. O si abbandoneranno anche quelle funzioni facendo
“esodare” i loro dipendenti? E comunque, non a caso, lo aveva proposto
prima Berlusconi e poi Monti… Ovviamente sarei a favore di questo e di
ben altri tagli al mastodontico apparato statale, se avvenisse nel
quadro di una riorganizzazione e democratizzazione generale. Quello che
mi preoccupa è che possa contribuire all’accettazione di progetti
governativi che servirebbero solo a far cassa licenziando un po’ di
dipendenti, i meno protetti, mentre verrebbero riciclati altrove i
funzionari-manager ben retribuiti. (Ne ho parlato recentemente a
proposito della scuola in Profumo di ipocrisia, e del settore pubblico in generale in Onore al merito…)
Giusta l’argomentazione di Grillo per la sua proposta di fermare tutte
le pensioni a 3.000 euro netti al mese: “tanto se guadagnavi milioni
qualcosa da parte avrai messo”. Graziosa poi l’idea di far fare
volontariato al suo dentista, che “per qualche ora a settimana dovrà
operare gratis chi ha bisogno”…Anche se sarebbe meglio ricostruire un vero servizio sanitario pubblico gratuito ed efficiente…
Altro problema: chi e come deciderà la tattica a Parma per
l’inceneritore? Nella prima intervista Grillo era comprensivo su alcune
esitazioni di Pizzarotti subito dopo la sua elezione (“Ci sono penali.
Contratti da andare a vedere. Vedremo. Cercheremo una soluzione”.),
nella seconda è più netto sul rifiuto, ma pur sempre possibilista sulla
tattica: “Le penali, se obbligatorie, si troverà il modo di pagarle”…
Come, con una colletta? O tagliando altre voci del bilancio comunale?
Bisognerà trovare un sistema per decidere, non basta fare la fuga in
avanti passando alla critica generale (giustissima ma astratta) del
“projet financing” e delle “multiutility” e lasciando nel vago il che
fare ora.
L’altra proposta, l’uscita dall’Euro, è ugualmente da discutere: è
giusta per rifiutare il ricatto della “cacciata dall’Europa”, ma fa
parte del patrimonio di chiacchiere circolanti che non tengono conto che
sono in crisi anche paesi senza l’Euro… Non dico che sia un
sottoprodotto del martellamento contro “l’euro voluto da Prodi”, tanto
caro a Berlusconi, alla Santanché (e alla Lega, alla cui crisi Grillo ha
dedicato molta attenzione), ma certo non aiuta a capire l’origine
profonda della crisi, che non è solo monetaria e tantomeno solo
italiana, ma di tutto il sistema capitalista.
Come non aiuta la chiarezza l’insistenza nel ribadire che le idee
giuste non sono “né di destra né di sinistra”, e che i partiti sono
tutti uguali. Due concetti che gli hanno permesso a suo tempo di
appoggiare Berlusconi, o di cercare di presentarsi alle primarie del PD.
Concetti che sono molto pericolosi in un movimento in cui è
preponderante il ruolo di una persona sola, o al massimo di due, (se
aggiungiamo il suo discusso factotum personale Gianroberto Casaleggio),
entrambi a quanto pare non particolarmente forniti di un retroterra
culturale solido. Sia chiaro, non si deve pretendere da un comico o da
un artista o uno scrittore che abbia una buona cultura politica, tranne
nel caso in cui scenda in politica spendendosi la sua popolarità, e
rifiuti di mettersi in discussione nel movimento. Grillo dice che non si
può: “Abbiamo provato a discutere dell’organizzazione tra di noi. Un
disastro. Diventi un partito quando discuti della struttura”.
Sia chiaro, è comprensibile questo rifiuto: ha attraversato quasi
tutta la sinistra, per reazione agli esempi repellenti dei partiti
burocratizzati: me lo sono trovato perfino nel Chiapas, quando molti
compagni messicani rifiutavano il principio della delega revocabile in
nome del consenso da ottenere nelle assemblee locali. Inutilmente gli
ponevi il problema di come far esprimere una metropoli di sedici milioni
di abitanti come Città del Messico con i metodi che funzionavano bene
in comunità di poche centinaia di persone. L’ho ritrovato nell’Argentina
delle cacerolas e dei piqueteros. È
diffusissimo in tutta la sinistra semianarchica, abituata alla
democrazia diretta delle piccole riunioni (magari con il sottoprodotto
della sopraffazione di chi controlla gli altoparlanti, quando ci si
trova in tanti a discutere in piazza, come nelle assemblee del Parque Centenario
a Buenosa Aires). Un modello classico era la prima Lotta Continua, che
formalmente “non aveva dirigenti”, e decideva in assemblee che si
spostavano da una città all’altra, ma in cui operavano alcune centinaia
di funzionari (pochissimo pagati e generosi, ma non eletti e quindi che
non rispondevano a nessuno).
Lo ricordo non per fare una predica al nuovo movimento, ma per ricordare che abbiamo visto l’involuzione rapida, che pure non era fatale, di tante organizzazioni nate nella
lotta e per la lotta: le ultime in ordine di tempo Solidarnosc e il PT
brasiliano. Invece di demonizzare ogni organizzazione “verticale” e
ripetere che i partiti sono sempre fatalmente uguali e dannosi, sarebbe
meglio confrontarsi materialisticamente con la storia dei processi che
hanno distrutto o trasformato pesantemente organizzazioni con un passato
più che rispettabile una volta che si sono avvicinate alla soglia del
potere.
Ad esempio, e così chiarisco il senso delle mie perplessità sulla
disponibilità al pagamento delle penali per la mancata realizzazione
dell’inceneritore, nel dopoguerra spesso i comuni che il PCI
amministrava insieme ai socialisti (che ugualmente erano davvero
socialisti), spesso prendevano giuste decisioni che i prefetti,
rappresentanti locali del potere centrale, annullavano. Lo scontro a
volte arrivava fino allo scioglimento del consiglio comunale e a pesanti
intimidazioni sui sindaci, ma non era inutile, perché spiegava
concretamente ai cittadini il ruolo reazionario dello Stato,
dell’istituzione prefettizia, ecc. Ma allora il PCI anche se non era più
un partito rivoluzionario come pretendeva di essere (tanto è vero che
aveva accettato di subordinare la resistenza a una coalizione
interclassista finalizzata alla ricostruzione dello Stato borghese che
era a pezzi, vedi sul sito Il PCI al governo, 44-47 o Il PCI al bivio),
era però seriamente di sinistra. Proprio per questo, invece di
denunciare “i partiti” in quanto tali come il male assoluto, sarebbe
meglio studiarne materialisticamente la storia, per capire le ragioni
della loro lunga fase di crescita quando erano discriminati e
perseguitati, e poi le ragioni della loro rapida involuzione quando
hanno cominciato a socchiudersi le porte delle cosiddette “stanze dei
bottoni”.
Tanto più che lo stesso Grillo accenna a volte alla posssibilità e
necessità di alleanze, ed anzi descrive i suoi tentativi di dialogo in
varie fasi con Di Pietro, Bersani, Prodi (probabilmente in base alla sua
convinzione che “i partiti sono tutti uguali, gli uomini no”, e che ci
sarebbero anche “persone per bene”). Sarebbe meglio che il movimento 5
stelle riflettesse un po’ sul perché, nonostante ci fossero tante
“persone per bene”, i partiti di sinistra, compreso il PRC, sono stati
corrotti dalle possibilità di accesso al potere locale, e dalla
tentazione di accedere a quello centrale, accettandone le regole del
gioco, facendo progressivamente concessioni al nemico di classe, e
quindi dovendo mentire sempre più spesso alla propria base sociale.
(a.m. 16/6/12)
Fonte: Movimento operaio