La sfida “a tutti i
politici” lanciata da Beppe Grillo al momento dell’annuncio della sua
“discesa in campo” non è stata certo ignorata dai mass media, che hanno
dato immediatamente per scontato il suo successo. Non volevo commentare
l’avvenimento, ma sono stato stimolato da un intervento di Sergio
Casanova, che osserva acutamente che “la classe dominante cerca di
scegliersi anche gli avversari”, e che delle principali proposte del
programma del comico genovese le prime tre (la valutazione della
situazione economica, la proposta elettorale e i “criteri di selezione
delle emergenze politiche”) non sono molto diverse da quelle del
vituperato PD, anche se mimetizzate sotto un divertente linguaggio
folcloristico.
Parto da una delle
osservazioni critiche di Sergio Casanova, sulla “concezione del debito
pubblico” di fatto incompatibile con qualsiasi politica economica e
sociale alternativa a quelle neoliberiste in atto e basata
sull’accettazione del vincolo di bilancio imposto dal Trattato di
Maastricht, che ovviamente dà per scontata la prosecuzione della
distruzione del welfare, dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori,
i bassi salari e le pensioni da fame. Grillo dice che il debito
pubblico sta esplodendo “nel silenzio generale” (mentre in realtà non si
parla d’altro), e lo dice proprio per usarlo in maniera strumentale
contro qualsiasi scelta non liberista.
E qui viene la parte
più scandalosa del proclama di Grillo (che comunque riporto
integralmente di seguito). Grillo rifiuta le elezioni, che darebbero
solo un po’ di “fieno” ai partiti minori, e sostiene invece la necessità
di un governo “tecnico”, per risanare il debito. Prima osservazione: è
possibile che le scelte economiche non siano frutto di scelte politiche?
Ma la seconda è ancora più seria: chi sarebbero i tecnici? Grillo, che
per giunta non conta (ancora) neppure su una piccola pattuglia di
parlamentari, deve a maggior ragione fare i conti con le proposte
esistenti: e i “tecnici” di cui si parla quando al ricorso alle urne si
contrappone un “governo di transizione”, sarebbero Montezemolo, Draghi, la Marcegaglia
e i segretari dei sindacati confederali; magari ora non più Marchionne,
che dopo la delocalizzazione già decisa di Termini Imerese e le molte
altre minacciate risente momentaneamente di un calo della popolarità
(perfino Bertinotti, che lo portava in palma di mano e lo proponeva al
PRC come esempio di “capitalista moderno”, ha dovuto criticarlo).
E sarebbero questi
“tecnici”, da sempre collaboratori e complici aperti di Berlusconi, a
volere e potere mettere mano alla spinosa questione del “conflitto di
interessi”? Perfino Grillo ammette la difficoltà, quando dice: “Sembra
semplice a dirlo e lo sarebbe anche a farlo se non avessimo un
Parlamento di irresponsabili, di leccapiedi e di arrivisti”.
Evidentemente, per lui, quel che non va nel parlamento sono i
“leccapiedi”. Un parlamento di capitalisti, e di loro amici invece non
mi andrebbe bene anche se per assurdo fossero onesti… Tanto più che gli
arrivisti vengono fuori più facilmente e si mimetizzano meglio in
assenza di qualsiasi riferimento a ideali di trasformazione sociale e di
auto/difesa della classe operaia.
D’altra parte che il
simpatico comico genovese parli a orecchio, puntando sul radicalismo
apparente del linguaggio, senza riflettere troppo su dove va a parare, è
confermato da un’incredibile attacco che ha fatto in questi giorni
all’INPS, accusata di essere un carrozzone mangiasoldi da distruggere.
Un’accusa che riecheggia gli argomenti di tutte le destre (anche interne
al PD) che vogliono tagliare le pensioni, e che fingono di ignorare che
la parte pensionistica dell’attività dell’INPS è stata per anni
nettamente in attivo (anche grazie ai contributi degli immigrati).
Il
deficit attuale, in realtà modesto, è dovuto all’attribuzione all’INPS
di compiti generali dello Stato come la Cassa
integrazione, e al peso di pensioni anomale di categorie diverse
(artigiani, commercianti) che contribuiscono in modo non proporzionale
alle uscite. Si veda al proposito il bel saggio, sempre di Sergio
Casanova, che ho inserito qualche tempo fa nel sito: Salari pensioni e fisco, in particolare alla pagina 17.
La proposta elettorale
di Grillo sembra radicale, perché si concentra sul fatto che oggi i
candidati vengono scelti dai segretari dei partiti. E’ verissimo, ma
anche col sistema delle preferenze le cose erano ben poco diverse (per i
candidati che non potevano autofinanziarsi la campagna elettorale),
visto che prevaleva quasi sempre chi era sostenuto dai vertici del
partito. Non una parola sulla questione fondamentale del sistema
elettorale. È necessario o no il ritorno al sistema proporzionale,
l’unico che può garantire che il Parlamento sia rappresentativo, almeno
dal punto di vista della democrazia formale?
Le emergenze
individuate (debito pubblico, ripristino delle preferenze elettorali) e
lo strumento scelto (il governo tecnico) collocano, a tutti gli effetti,
Grillo dentro l’asfittico dibattito in corso, dal quale, a parole,
prende le distanze. Per lui evidentemente non sono emergenze invece la
questione sociale e quella ambientale. Lo è quella economica, ma nei
termini posti dal pensiero unico del mercato, come se fosse un fenomeno
naturale. “La miccia dell'economia è accesa, dice Grillo, ma nessuno se
ne cura. Le aziende fuggono all'estero dopo i cervelli” Perché? Si
tratta di una fatalità, o della conseguenza di una scelta dei
capitalisti? Capitalisti e capitalismo sono parole che non compaiono nel
programma. Così anche la disoccupazione, che “aspetta il botto della
fine della cassa integrazione dei prossimi mesi”, non si sa a chi è
dovuta.
Il quarto punto del
programma è quello in cui Grillo si differenzia maggiormente dal PD, con
una polemica violenta contro la classe politica e il finanziamento dei
partiti, per la scelta diretta dei candidati, contro i corrotti e gli
inquisiti) e traccia le coordinate di un movimento politico che si
presenta come “nuovo”, ma che nella sostanza è vecchissimo. Gli assi
sono un suo portale, le liste elettorali costruite attraverso di esso,
l’abolizione di qualsiasi forma di finanziamento pubblico dei partiti.
Sergio Casanova
osserva giustamente che “internet è uno snodo fondamentale della società
in cui viviamo, accresce enormemente la possibilità di acquisire
informazioni (…se si possiedono gli strumenti culturali, oltre che
tecnici, di cercarle!)”, ma è un po’ improbabile che possa diventare uno
strumento di selezione dei candidati, sia per la sua diffusione
piuttosto limitata in Italia, che esclude di fatto gran parte delle
classi subalterne. “È uno strumento aggiuntivo eccellente, ma non può
certo essere sostitutivo di processi così complessi come quello della
formazione di un libero consenso attorno a candidati rappresentativi. È
evidente il rischio di un suo uso strumentale da parte di una nuova
élite”. E come verrebbero scelti i candidati, senza una milizia comune
in un partito o un’organizzazione (comunque la si chiami): in base alle
facce simpatiche, o con i criteri dell’isola dei famosi?
Grillo nella sua
polemica, che riprende quelle dei radicali (e in precedenza dell’Uomo
Qualunque), si scaglia contro il finanziamento pubblico dei partiti.
Certo, così come è diventato, è impossibile difenderlo, e non a caso la
piccolissima pattuglia parlamentare di Sinistra critica aveva presentato
un disegno di legge per ridurre drasticamente le retribuzioni degli
eletti, e legare i contributi ai partiti al finanziamento di concrete
attività editoriali e informative. Ma al di là delle sue gravi
distorsioni attuali, è l’unica modalità possibile per la costruzione di
organizzazioni politiche non supportate da finanziamenti privati. Solo i
Berlusconi, i De Benedetti, i Colaninno, e i politicanti specializzati
in ottenere tangenti da famelici imprenditori potrebbero costituirle.
Grillo evidentemente ignora che i
partiti non sono un’entità malvagia esistente da sempre e immutabile: il
primo a nascere è stato, verso la fine del XIX secolo, il partito
socialista, per iniziativa di circoli operai, e legato a cooperative e
sindacati non burocratizzati; ci mise poi un paio di decenni ad
adattarsi al sistema; per fargli concorrenza nacque il partito popolare,
mentre i “partiti liberali” e borghesi non erano veri partiti, ma
comitati di interessi di notabili (non migliore del PDL di oggi era il
“partito” di Giolitti, giustamente bollato da Salvemini come “ministro
della malavita”). Dal partito socialista nacque, per opporsi alla guerra
e alla rapina connessa, il partito comunista, che ci mise un po’ di più
per adattarsi, (e lo fece anche come riflesso dell’involuzione
burocratica dell’URSS). Comunque alla fine della sua esistenza collaborò
anch’esso alla cancellazione di ogni distinzione di classe e rinunciò
alla lotta, presentandola come forma “antiquata” e inutile di far
politica. “Non si può dire sempre no”, era diventato il suo refrain,
entrato largamente nel senso comune, nonostante la sua evidente
assurdità (se uno vede un crimine, o un’ingiustizia, deve dire no!).
E non a caso la conseguenza è stata la rinuncia a ogni programma per
cambiare la società e combattere il capitalismo. Se Grillo mette insieme
in un solo fascio i partiti che erano nati per difendere i lavoratori e
quelli da sempre apertamente legati alla difesa dell’esistente, non è
solo colpa sua: il PCI e i suoi diversi epigoni, soprattutto dopo il
1989, si sono sempre affannati per essere percepiti “uguali agli altri”.
Ma quell’involuzione finale non era fatale: comunque, per decenni,
anche se non era più rivoluzionario, il PCI aveva assicurato un sostegno
importante alle lotte dei lavoratori, e imposto ai suoi eletti, ben
prima di Berlinguer, una sostanziale austerità. Del partito fascista non
è il caso di parlare qui, lo abbiamo fatto tante volte, in ogni caso
non era un partito se non di nome.
Questo è quel che Grillo non vede e non
sospetta neppure, quando riprende le invettive della destra contro i
“partiti” in quanto tali. Ignora anche che il finanziamento dei partiti
era stato rivendicato per creare le condizioni minime di partecipazione
continuativa all’attività politica di quei movimenti o partiti che
rappresentavano le classi subalterne. Poi, visto quanto facilitava l’addomesticamento
degli eletti provenienti dal movimento operaio (la prima esperienza era
stata fatta con la socialdemocrazia tedesca già prima delle Grande
Guerra), il sistema è stato ampliato e trasformato in uno strumento di
corruzione. E’ un tema complesso, ma la sua abolizione pura e semplice
rappresenterebbe un ritorno alle logiche dello Stato liberale, quello
dei partiti dei “notabili”, l’antitesi dei partiti di massa.
A Grillo, che è in sintonia con il
“senso comune” popolare manipolato proprio dalla casta, sfugge che il
problema maggiore non sono quelle pur grandi somme che finiscono a un
sistema dei partiti marcio che – ripeto - non ha nulla a che vedere con
quello delle origini della repubblica, e che è nato invece proprio dalla
distruzione (e autodistruzione…) dei partiti del movimento operaio.
Quelle somme, ad esempio gli stipendi dei parlamentari, o dei
consiglieri regionali, sembrano enormi a un’opinione pubblica a cui
vengono dati in pasto anche casi scandalosi ma marginali (come il
barbiere del senato, di cui si è tanto parlato, che fa pagare poco e
guadagna tanto…), ma sono una briciola rispetto a quelle che vengono
rapinate ogni giorno dai capitalisti grandi e piccoli, dai profittatori
specializzati in forniture militari e alle “imprese umanitarie”, dai
beneficiari di appalti regolarmente fuori controllo, per Grandi e
piccole opere, ecc.; di questa enorme rapina non si parla sui grandi
mass media, e quindi non ne parla neppure Grillo.
Per capirsi con un solo esempio: quando
si scoprì che il ministro liberale della Salute, Francesco De Lorenzo, e
il suo collaboratore Duilio Poggiolini, membro della P2 e direttore
generale del settore farmaceutico del ministero, avevano ottenuto come
“finanziamenti per il partito” molti miliardi lire, ma che avevano
lingotti d’oro perfino nei puff del salotto, vennero presentati con
esecrazione all’opinione pubblica e tutti giustamente si indignarono. Ma
così si dimenticò che se loro erano stati corrotti, c’erano i
corruttori, le imprese farmaceutiche che potevano pagare quelle cifre
perché ne ottenevano ben di più dai prezzi assurdamente alti dei loro
prodotti. La grandi compagnie farmaceutiche stanno ancora lì, e
continuano la loro opera.
Un’ultima considerazione personale: non
ho mai capito perché si tenda a delegare un ruolo di guida a certi
personaggi e artisti (non solo Grillo, ma Nanni Moretti o altri),
indipendentemente dalla loro cultura politica. Ho sempre detto, ad
esempio a proposito della discesa in politica di Mario Vargas Llosa, che
era e rimaneva un buon scrittore, ma poteva tranquillamente non capire
niente di politica, ed era quindi assurdo delegargli un ruolo salvifico,
quando era di sinistra e quando è divenuto di destra… Se Beppe Grillo
assumerà un ruolo importante nelle prossime elezioni, lo si dovrà certo
in primo luogo al vuoto della sinistra e al carattere respingente dei
suoi storici esponenti, ma anche forse un po’ all’effetto di
trascinamento del berlusconismo: si costruisce un movimento intorno a un
leader, a un nome, a un viso, non con un dibattito intorno a un
programma…
(a.m. 8/8/10)
Fonte: Movimento operaio