mercoledì 29 agosto 2012

Zombie e larve: lo stile mortuario di Grillo


Di Roberto Monteforte
27 agosto 2012
 
Morti viventi, zombie politici... Denigrazione e attacco personale. È questo lo stile di Beppe Grillo. Basta scorrere il blog del comico genovese approdato in politica o ripercorrere le sue dichiarazioni. Una riconferma ieri, nella risposta al segretario del Pd, Pierluigi Bersani. «A Bersani non mi sognerei mai di dare del fascista, gli imputo invece di aver agito in accordo con ex fascisti e piduisti per un ventennio, spartendo insieme a loro anche le ossa della Nazione».

Lo stile è necrofilo e l’intreccio tra considerazioni politiche e l’insulto personale è costante. Al segretario del «pdmenoelle» non dà del fascista ma gli affibbia quello di «fallito», molto probabilmente considerato più infamante. «Lo è lei - insiste - insieme a tutti i politici incompetenti e talvolta ladri che hanno fatto carne da porco dell'Italia e che ora pretendono di darci anche lezioni di democrazia».

È l’accusa rivolta a tutti coloro che presenta come espressione del vecchio e dell’inutile, colpevoli di tutti i mali del paese, cui contrappone la «forza» giovane e vitale espressa dal suo movimento.

Qualche giorno fa il ministro Elsa Fornero ospite del Meteeng di Cl a Rimini si è beccata un sonoro «La principessa sul pisello, alias Frignero» e poi un invito a chiamare la «neurodeliri» per «una che si crede un ministro». Il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni è diventato «Forminchioni». Il premier Mario Monti è oramai e costantemente definito «Rigor Montis». L’attenzione al lugubre è costante. Il comico-politico la usa anche nella polemica interna al suo movimento. «Pagare per andare in televisione per il MoVimento 5 Stelle è come pagare per andare al proprio funerale...» bloggerà il 15 agosto.

Non è solo ironia o sberleffo. Grillo fa spesso sfoggio di insulto diretto e volgare. Ne ha fatto le spese la presidente del Pd, Rosy Bindi lo scorso 15 luglio, quando era in corso l’assemblea nazionale del Pd e scoppio la polemica sul riconoscimento del matrimonio per le coppie gay. «La Bindi, che problemi di convivenza con il vero amore non ne ha probabilmente mai avuti, ha negato persino la presentazione di un documento sull'unione civile tra gay. Vade retro Satana. Niente sesso, siamo pidimenoellini».

Una volgarità che si commenta da sola. Non l’unica. «Questi farisei, sepolcri imbiancati spruzzati di un rosso antico ormai stinto, pretendono di dettare le regole della morale. Una Bindi, un Bersani, un Rutelli. Quanti sono gay nel pdmenoelle e non lo dichiarano? Fate outing, vi farà bene. I vostri nomi sono già conosciuti. Non c'è nulla di male a essere gay. Fa invece schifo negare diritti sacrosanti per un pugno di voti».

L’ossessione del padre-padrone del MoVimento 5 Stelle pare essere la morte (degli altri) e una costante il presentarsi come il nuovo. «I partiti sono morti». «Morti i 600mila che votano». Già alla Woodstock 5 Stelle del settembre 2010 la sua filosofia era esplicita: «Siamo vivi, vivi! Siamo usciti dalle catacombe. Siamo sopra e oltre. Sopra al nulla della politica, oltre questa civiltà basata sul denaro e sul consumismo. Sopra e oltre. Io ci credo, voi ci credete. La Rete ci ha unito. Possiamo cambiare la società, il mondo solo se lo vogliamo. Cosa abbiamo da perdere?». E ancora: «Siamo vivi, non fatevi contaminare dai morti».

Lo scorso 18 aprile durante un incontro con i lavoratori in presidio davanti all’ex Alfa Romeo di Arese: «Se dovessimo andare alle elezioni, i partiti sarebbero morti, nessuno voterebbe più Pd o PdL». Sul suo blog: «Noi siamo vivi in un Paese di morti, di vecchi che occupano ogni spazio e si credono eterni, che si nutrono di potere e si sono fottuti la vita (…). I partiti sono morti, zombie che camminano, strutture del passato, costruzioni artificiali».

Sul governo tecnico: «I politici sono stati seppelliti alla veloce e sostituiti dall’esorcista Mario Monti. Puzzavano per la decomposizione. Il lavoro dei becchini era urgente e necessario. Il loro fetore non era più sopportabile». Sulla lotta all’evasione fiscale ha un suo personale punto di vista. «Siete sicuri che se pagassimo tutti le tasse questo Paese sarebbe governato meglio? Ruberebbero il doppio». Polemizza con Napolitano anche sulla cittadinanza ai figli degli immigrati: «La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso».

Questo è lo stile. Cerca di parlare alla pancia dei cittadini. «I giornalisti nel ruolo consueto di medium li hanno riportati in vita. Zombie in poltrona ci spiegano come uscire dalla crisi, i sacrifici che ci attendono, una nuova visione dell’economia. Loro, i responsabili del disastro. Nessuno che chieda scusa e ritorni nella tomba. Perché evocare i morti e non invitare i vivi?. (…) Ma il loro tempo è finito. I vivi e i morti non possono dividere la stessa casa...».

Ma a proposito di morti, di assassini e di nemici veri della democrazia va ricordata la sua dichiarazione dello scorso 29 aprile: «La mafia non ha mai strangolato i suoi clienti, si limita a prendere il pizzo. Ma qua vediamo un’altra mafia che strangola la sua vittima». Attacca lo Stato esoso, ma la sua battuta è proprio fuori misura. Ha indignato le vittime, i parenti delle vittime di mafia e tutti coloro che a rischio della vita la combattono.
 
Fonte: L'Unità

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Grillo, cuore di destra

Di Michele Prospero
 25 gennaio 2012
 
Incontenibile slavina, alla caduta di Berlusconi è seguita la contestazione di Bossi. E dopo i fischi in piazza al leader leghista, è scoppiata la rivolta della rete contro le grossolane sparate di Grillo. Non corrono più tempi tranquilli per i capi che riducono la politica, da grande vicenda collettiva, a meschina faccenda privata, spesso coincidente con il loro capriccio.

Che il leader sia un rude capo territoriale o un comico che dimora nel virtuale spazio della rete, poco cambia: il re è ormai nudo e proprio dal suo pubblico di fedeli non trova più la scontata conferma della supremazia e quindi la reiterata disponibilità all’obbedienza.

In nome della rete celebrata come un luogo di libertà assoluta, in omaggio della partecipazione diretta attuata con scambi di mail, Grillo ha definito un inquietante processo politico di concentrazione assoluta del potere. Nel suo movimento personale, la potestà suprema risiede nel suo computer. Grazie a un centralismo computerizzato, il comico può decidere quello che vuole, può lanciare sfide a piacimento, può scagliare invettive alla cieca, può comminare scomuniche. Al movimento non resta che approvare la sortita imprevista o lanciare in rete timidi mormorii di disapprovazione o segnali più espliciti di scontento quando il comico l’ha combinata grossa. L’essenza del fenomeno è che il capo comico gestisce sempre lui i tempi, progetta come meglio crede le provocazioni pronte a rimbalzare dalla rete ai vecchi media.

Ammiccando il pubblico con una colorita fraseologia iperdemocratica, agitando un lessico infarcito di metafore orizzontali e spolverando i caldi miti di una costruzione sempre dal basso dell’agenda, Grillo ha in realtà allestito una macchina del tutto sregolata e leggera ma pur sempre impermeabile e poco trasparente. Con il miraggio della rete come veicolo della discussione infinita e della condivisione totale, il movimento si inaridisce nella vita quotidiana e approda nel meccanismo disarmante della assoluta delega in bianco alla persona. Il capo innalza così il proprio sbalzo d’umore a dottrina politica e chiude, nella sua imponderabile possibilità di deviare da un programma evanescente, una esperienza di politica che non garantisce apprendimento collettivo, che non dispone sanzioni verso scelte sbagliare, che non è in grado di imporre al capo sfuggente ed enigmatico degli impegni precisi, dei vincoli ravvicinati, degli atti politici gestiti con coerenza.

Sono evidenti, nel modello verticale e unidirezionale di conduzione del movimento, i tratti di una cultura populistica a sfondo autoritario che inneggia alla solitudine di un capo refrattario a convivere con regole, organi, mediazioni. L’immediatezza del capo populista, che si rapporta con il suo semplice corpo con il pubblico irrelato e sguarnito della fisicità dei luoghi di incontro, ha condotto stavolta Grillo a gettare la maschera. Il verbo ultrademocratico della rivolta contro la casta si colora delle tinte più accese della cultura politica reazionaria. Le parole insulse contro il diritto di cittadinanza a favore dei figli degli immigrati si spingono persino oltre le posizioni di una destra decente.

Nessun leader di destra in Europa si azzarderebbe a sostenere le ambizioni retrograde di Grillo. Il cancelliere Merkel ha sì annunciato il fallimento del multiculturalismo. Ma il suo governo non ha mai smesso di incoraggiare le politiche di integrazione e ha radunato in Parlamento 200 migranti per dire loro grazie in nome della Germania. Il presidente Sarkozy ha concesso ai migranti il diritto di voto amministrativo. Proprio su una materia che abbraccia i grandi principi etico-politici, Grillo assume invece le coordinate dei movimenti del populismo xenofobo (che esulta dinanzi alle cifre dei respingimenti e alle espulsioni collettive, agli accompagnamenti coattivi).

Il ricco comico ha un arido cuore di destra che pulsa non solo nella radicale venatura antipolitica del suo messaggio indirizzato contro la rappresentanza, ma anche nella profonda insensibilità culturale ed etica verso un tema, come quello della cittadinanza ai figli dei migranti, che abbraccia la dignità della persona umana. La retorica della rete aperta si chiude così nella cupa nostalgia dei solidi confini. Per Grillo si può navigare solo nella rete, non nel mondo reale dove non c’è posto per uno ius migrandi e tanto meno possono spalancarsi le porte dello status activae civitatis per i figli dell’errore. Per fortuna nella rete c’è ancora chi si indigna dinanzi a questa follia.

Fonte: L'Unità