domenica 26 agosto 2012

Grillo e Casaleggio in guerra tra eccessi e banalità

24 novembre 2011
 
grillo_siamoinguerra.jpg    Il miglior commento al nuovo libro di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, «Siamo in guerra», è un auspicio che ha espresso Marta Dassù aprendo il volume monografico di Aspenia su Media 2.0, Potere e Libertà: «Ci vuole 'cyber-realismo'». Perché la realtà odierna della Rete è complessa, a tratti imperscrutabile. Tacerlo, o peccare di idealismo (in senso positivo o negativo, non cambia), significa nuocere alla comprensione dei problemi che pone. Attualissimi, dirompenti, e tutt'altro che risolti. 

Il testo di Grillo e Casaleggio contiene questo peccato originale già nel titolo: «Siamo in guerra». Una guerra, specificano subito gli autori, «feroce», «totale», tra «due mondi, tra due diverse concezioni della realtà». Quali siano si evince dalla copertina: «la Rete contro i partiti». Da un lato, l'ineffabile (o quasi) «intelligenza collettiva» di Internet, dove «ognuno vale uno». Dall'altra, tutti insieme indistintamente, i cattivi: media tradizionali, politica, economia e relativi rapporti di potere. 

Gli eccessi e le banalizzazioni risultano, a tratti, degne di un comico. Qualche esempio: 

«La Rete è francescana, anticapitalista: nel Web le idee e la loro condivisione valgono più del denaro». 

«La Rete permette all'ignaro investitore di comprendere i misteri della Borsa e i suoi oscuri collegamenti «La Rete assomiglierà a un genio della lampada che ci risponderà su qualunque argomento». 

«Non rubi attraverso la Rete». 

Ci sono poi generalizzazioni qualunquiste, come: 

«L'informazione online è considerata dai politici alla stregua di una gogna mediatica». 

«I media tradizionali non danno – o non possono dare – le notizie sui politici; la Rete invece non ha alcun rispetto». 

L'attribuzione alla Rete di proprietà salvifiche e altre previsioni la cui certezza è fondata solamente dall'utilizzo della lampada di Aladino di cui sopra: 

«Alla domanda: 'Perché in Libia c'è stata la rivoluzione e in Italia no?' la risposta è semplice: i libici si informano in Rete e gli italiani attraverso la televisione». «'Internet renderà i politici del futuro più intelligenti?' […] la risposta è affermativa. In futuro lo sviluppo dell'intelligenza collettiva e l'efficacia dell'azione politica aumenteranno». 

«[Grazie a Internet] si svilupperanno sia le capacità analitiche e di capacità critiche per comparare diverse fonti di informazione sia la creatività […]. Lo sviluppo delle reti sociali avrà obiettivi concreti». 

«[La Tav] Anche grazie a Internet, non si farà mai». 

«Nasceranno nuovi Dostoevskij del digitale». 

«[In 10-20 anni] scompariranno i media tradizionali, svanirà gran parte delle strutture gerarchiche. [Compresi i partiti,] che saranno sostituiti dai movimenti». 

Da ultimo, ci sono ingenuità in cui l'eccesso di ottimismo porta chi scrive ad andare fuori strada. Come per il successo dei referendum di giugno 2011, in cui – scrivono Grillo e Casaleggio - «I media tradizionali non hanno potuto nulla contro la viralità della Rete», come se esistesse uno studio che dimostri e quantifichi il legame tra entusiasmo online (innegabile) ed esito referendario. O per WikiLeaks, definita «una fonte inesauribile di informazione alternativa» nonostante sia stata costretta a sospendere le pubblicazioni a causa di un blocco bancario, oltre che ai dissidi interni e ai guai con la giustizia del fondatore. 

Ed è proprio da questo punto che si può partire per comprendere quello che trovo sia la vera falla nell'argomentare degli autori. Che hanno anche l'indubbio merito, e sarebbe sbagliato tacerlo, di portare ai lettori in modo semplice ed efficace alcuni problemi sollevati dalla Rete e di grande attualità: le leggi liberticide ipotizzate da politici di centrodestra (ma sono molti di più, bisognerebbe dirlo) e centrosinistra; l'insensatezza della battaglia di retroguardia delle major a difesa del copyright; il problema dell'habeas data

Ma che sostituiscono un'analisi a tutto tondo con una versione stilizzata della Rete. Dove sì, i problemi ci sono – ma vanno detti di passaggio, senza approfondire. Come quando Grillo e Casaleggio impiegano pagine e pagine a parlare di Internet come luogo della verità e della conoscenza («Se dici una falsità sei scoperto in un secondo, il tempo di un click»), per poi ricordare nella conclusione che la Rete «non è la verità assoluta. Bufale e false identità sono la normalità». O ancora, come quando si parla giustamente di crowdsourcing e modelli economici imperniati sul «tutto gratis» senza tuttavia ricordare che, al momento, non esiste un modello di business che invece di ungere le ruote dei soliti colossi (Facebook, Apple, Google) consenta a tutti i produttori di contenuti di vivere delle loro creazioni. 

Non un accenno, poi, all'enorme problema della censura operata attraverso la Rete e i social media: nessuna Net Delusion, insomma, per citare il celeberrimo volume di Evgeny Morozov. Tranne quando Grillo lamenta la rimozione dal suo account YouTube di un video di Obama intervistato da Letterman. Dimenticando, tuttavia, di citare il caso in cui fu proprio Grillo a pretendere (e ottenere) la rimozione da YouTube di un video satirico che lo aveva come bersaglio. 

In conclusione, spiace che Grillo abbia abbracciato il tecno-utopismo di cui parla tanto e bene Jaron Lanierin «You are not a Gadget». Cioè quella versione della Rete, mutuata dai suoi esordi, in cui prima o poi le intelligenze individuali («ognuno vale uno») finiranno per congiungersi in una entità unica (la Rete, appunto) e dunque in una «intelligenza collettiva» (termine che non a caso ricorre in tutto il testo) magicamente in grado di risolvere qualunque tipo di problema in tempo reale, e in modo «anticapitalista»: cioè eco-sostenibile, egalitario, realmente democratico. Spiace perché Grillo e Casaleggio sanno indubbiamente di cosa parlano, e potrebbero avere un ruolo importante nell'alfabetizzazione digitale di questo nostro Paese ridotto al Medioevo culturale e infrastrutturale, quando si parli di Internet. Per farlo, tuttavia, ci dovrebbero raccontare anche «il lato oscuro della libertà della Rete», per citare nuovamente Morozov. Perché esiste, è realissimo. E, purtroppo, sta lentamente vincendo.

Fabio Chiusi
@valigiablu - riproduzione consigliata
 
Fonte: Valigia Blu