mercoledì 29 agosto 2012

Fondi pubblici: De Benedetti, padrone di Espresso e Repubblica è d'accordo con Grillo

[Era inevitabile che la grande imprenditoria e le lobby industriali (vedi  le dichiarazioni di De Benedetti qui sotto) sostenessero la soppressione dei finanziamenti pubblici all'editoria, questo per avere una stampa definitivamente asservita ai loro interessi: non basta infatti diventare padroni di grandi gruppi editoriali, bisogna fare in modo di scongiurare ogni possibilità di larga diffusione di voci scomode e dannose per i propri interessi, cosa che può ancora avvenire utilizzando in maniera opportuna la possibilità offerta dai finanziamenti pubblici o cambiandone le regole senza eliminarli.

Questo per quelli che ancora non avevano capito a chi sarebbe mai potuta interessare una tale proposta e a quali interessi gioverebbe una volta messa in pratica, questo nonostante la proposta fosse partita, durante il V2-day, dalla Casaleggio Associati da sempre legata alla grande imprenditoria nazionale e internazionale e che quindi non fosse poi così recondito capire dove volesse andare a parare. 

E invece no, che ti fa l'italiano medio? 

Il primo cialtrone che passa (e che nel mentre si succhia i loro soldi vendendo pacottiglia e aria fritta) dice loro che eliminando  i finanziamenti pubblici loro pagheranno meno tasse oppure che le loro tasse verranno utilizzate meglio e gli ingenuotti iracondi ci credono! 

Neanche gli balena il minimo sospetto!]

Fondi all'editoria, lo specchio della crisi  

Scritto da   
Sabato, 18 Febbraio 2012 16:49
immagine-quotidianiGiovedì scorso, alla facoltà di Economia dell'Università di Palermo, il Presidente del gruppo editoriale l'Espresso Carlo De Benedetti in occasione della lectio magistralis ha dichiarato: «Per favore, togliamo i finanziamenti all'editoria laddove l'editoria non sta in piedi da sola. Non si tengono in piedi i morti, perché c'è puzza di cadavere».

De Benedetti prende spunto dalle truffe sul finanziamento pubblico (denunciate dalla Federazione della Stampa e da Mediacoop) per ribadire che «bisognerebbe togliere tutti i finanziamenti pubblici che poi finiscono normalmente in violazione delle leggi, in furti e abusi per lasciare campo libero all'editoria sana». «Che i giornali di partito se li paghino i partiti – ha aggiunto il direttore a capo di uno dei più consistenti gruppi editoriali – se hanno già rimborsi elettorali non si capisce perché noi contribuenti dobbiamo pagare i giornali di partiti. Se li paghino loro.»

Contro questi abusi sono intervenute anche le testate cosiddette "non commerciali", che da anni chiedono ai governi di rivedere i criteri di assegnazione dei fondi. Un promessa fatta anche dal Premier Monti, ma nel frattempo, molti giornali chiudono i battenti.

Come sostenuto dalla giornalista de l'Unità Natalia Lombardo, «il finanziamento pubblico alla stampa nasce come garanzia del pluralismo , nel rispetto costituzionale della libertà d'informazione. Ma nell'ondata di "anti-casta" si può perdere di vista una differenza sostanziale: i grandi quotidiani e periodici hanno risorse dalla pubblicità, preclusa dagli investitori ai giornali di opinione» oltre al sostegno pubblico.

In una nota l'Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana) ha (in)direttamente risposto alle dure parole di De Benedetti dicendo che «il finanziamento pubblico all'editoria è necessario per tutte quelle realtà dell'informazione non meramente commerciali, di idee o di voci minoritarie, di promozioni di forme di auto imprenditorialità cooperativa che non possono contare sulle risorse di capitali di impresa come l'ing. De Benedetti. E se i morti non si possono certo tenere in vita, l'aiuto pubblico ha il dovere di impedire la scomparsa di voci dell'informazione o, peggio, provocare suicidi assistiti».


Su tutta questa bagarre una cosa è sicura: la crisi collettiva del panorama giornalistico (specialmente su carta), che siano i grandi gruppi editoriali o i giornali di opinione. Prendiamo per esempio l'intricato capitolo degli "stati di crisi", che hanno devastato intere redazioni, anche di giornali i cui bilanci non risultavano in rosso. In totale, dal 2009 sono stati prepensionati 597 giornalisti (su circa 18.500) anche grazie al fondo di 20 milioni di euro "erogati" dalla Presidenza del Consiglio. Al gruppo l'Espresso è stato riconosciuto lo stato di crisi dal dicembre 2009 al novembre 2010. Risultato? 92 prepensionamenti.

Il gruppo Rcs, che edita Il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport ha mandato in pensione anticipata nel giro di due anni ben 87 giornalisti; 52 per il gruppo Mondadori nelle medesime tempistiche. Hanno adottato questo "trattamento" molti altri giornali tra i quali La Stampa, Il Mattino e il Gazzettino di Padova.

Il prepensionamento, per chi fa il mestiere del giornalista è l'ultimo dei problemi, in senso temporale intendiamoci. Pensiamo alle casse integrazione, ai contratti di solidarietà, ai licenziamenti, ai fallimenti con immediata chiusura della testata e conseguente "ciao, è stato un piacere" al giornalista di turno.

Nel 2012 lo scenario rischia di essere uguale o peggiore di quello del 2011: serrate, redazioni decimate dalle ristrutturazioni, ricavi della pubblicità in continuo calo, blocco del turn over, aumento del precariato.

I molti hanno visto l'avvento dei nuovi media come causa principale della crisi con la loro "gratuità" e con i giovani che leggono sempre meno i quotidiani (o che magari leggono quelli on-line, sempre aggiornati e in molti casi autorevoli). Ma a pesare, in realtà, sono soprattutto i tagli all'editoria da parte dello Stato compresi quei sussidi nati per evitare che la circolazione delle idee venisse appaltata solo a chi ha i mezzi, e finiti spesso nelle mani sbagliate di editori improvvisati e disonesti. Il caso che ha coinvolto Giuseppe Ciarrapico, colpevole, secondo l'accusa, di aver truffato 45 milioni di euro alle casse dello Stato costituendo cooperative editoriali fasulle e incassando finanziamenti ai quali non aveva diritto, è solo l'ultimo caso di illecito nel mondo dell'editoria (quello a cui di appellava De Benedetti giovedì scorso).

Controlli serrati quindi, come auspica anche Siddi (Segretario Nazionale Fnsi): «servono criteri di verifica più severi senza colpire l'intero sistema che va invece ripulito e tutelato».

Per ora la prima toppa è stata messa dal regolamento Bonaiuti attivo da inizio gennaio che per stabilire l'erogazione dei contributi all'editoria si propone di prendere in considerazione il numero di lavoratori assunti dal giornale e calcolare, anziché le copie stampate, quelle vendute escludendo anche tutte quelle cedute in stock a 50 centesimi ciascuna per fare numero.

Intanto però la campana di allarme è già suonata per l'editoria di partito, di cooperativa, di idee e non profit, che in attesa della riforma rischia di scomparire per mancanza di liquidità. Secondo i calcoli della Fnsi entro fine 2012 potrebbero chiudere almeno un centinaio di testate, già 30 nei prossimi mesi «e tante altre sono border line», denuncia Siddi.

A rischio sono Liberazione, che dopo il naufragio in edicola cerca di approdare online, il Manifesto che è in mano ai liquidatori, l'Unità alla disperata ricerca di un acquirente, Finanza e mercati di Editori per la Finanza, che fa capo al costruttore Danilo Coppola, uno dei furbetti dell'operazione Bnl. Ma anche La Cronaca di Piacenza e di Cremona che dal 22 gennaio hanno sospeso le pubblicazioni, il quotidiano Informazione-il Domani che dal prossimo primo febbraio non sarà più in edicola dopo l'annuncio dell'azienda Editoriale Bologna Srl che metterà 36 giornalisti delle tre redazioni di Bologna, Modena e Reggio Emilia in cassa integrazione.

I problemi però sono annosi, gli ultimi in ordine di tempo sono i tagli lineari fatti con la legge di stabilità al fondo per l'editoria che, a fronte di un fabbisogno pari a 160 milioni di euro, nel 2012 è per ora di circa 52 milioni di euro. «Negli ultimi tre anni il taglio tra contributi diretti e indiretti è stato del 45%», dice il segretario della Fnsi.

A questo intervento, in poco meno di un mese, si è aggiunto quello contenuto nel decreto salva-Italia che all'articolo 29 ha stabilito la fine dei contributi diretti all'editoria a partire dal 2014.

[Sarà contento Grillo. 

A quanto pare il governo Monti, che rappresenta il meglio dei tecnici e degli intellettuali della nostra imprenditoria, la crème de la crème dei capitalisti italiani, sta facendo in modo di realizzare quello che Grillo ha sempre auspicato.

Non si salveranno i giornali piccoli, non si cambieranno i criteri d'assegnazione: si dirà che c'è la crisi, e nel frattempo avremo stuoli d'incosapevoli manipolati dai grandi media in mano a gente come De Benedetti che festeggerà la fine dei finanziamenti pubblici.

Grillo e Monti sono in realtà due facce della stessa medaglia, e tutte e due sembrano voler avvantaggiare solo qualcuno a discapito di tutti gli altri].

Si salvi chi può.

Fonte: You NG