martedì 21 agosto 2012

Erano quattro amici (e prendevano un mucchio di voti) - Seconda parte

[Le prime 3 puntate qui.]

Erano quattro amici (e prendevano un mucchio di voti)/4

Piazza Farnese, Roma, 28 gennaio 2009. L’Associazione nazionale parenti delle vittime della mafia ha organizzato una manifestazione pro De Magistris. Tra gli invitati spiccano Carlo Vulpio, Marco Travaglio, Sonia Alfano, ma soprattutto Antonio Di Pietro e Beppe Grillo. Tutte le “persone belle dentro” del progetto “partito degli onesti” sono, insomma, lì riuniti. 

Il leader dell’Italia dei valori e il comico genovese prendono, a un certo punto, a confabulare nel backstage. Risate, battute, poi Grillo - ripreso da una telecamera amatoriale  - dice: “Solo che io pensavo che ci fossero 40mila persone”. Non ce sono più di mille. E si vede che è infastidito. Di Pietro ribatte con una frase incomprensibile. E Grillo di nuovo: “Bisogna trovare modi e mezzi di comunicazioni diversi per arrivare alla gente. Bisogna andare su altre cose, ad esempio la paura della spesa, dell’economia, ché sta per arrivare una botta pazzesca. Parlare anche un po’ di ambiente…”.

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Ah, ecco. Perché se non tira più la sete di giustizia o la storia dei magistrati coraggiosi, tanto vale cambiare argomento, no? Parole più da showman preoccupato di fare audience (o da politico consumato), che da Don Chisciotte che lotta contro gli eterni mulini a vento della malapolitica, della malagiustizia, della malainformazione. Ma poco importa. Quelle chiacchiere in libertà rimangono confinate nel backstage. E il pubblico, quando Grillo e gli altri salgono uno dopo l’altro sul palco, va letteralmente in visibilio.

Era, quell’inizio del 2009, il periodo degli alti principi da condividere; delle battaglie da combattere assieme; dei paladini uniti nella lotta per far trionfare verità e giustizia. O se preferite: del volemose bene.
E - come in quella manifestazione in Piazza Farnese a Roma - tutti dispensavano complimenti a tutti. Sul blog di Grillo, Di Pietro era soprannominato affettuosamente “kryptonite”, per essere rimasto l’unico a fare vera opposizione al governo del principe del male Berlusconi (link). E sempre Grillo fece di tutto e di più per portare voti a De Magistris e Alfano che - parola del comico genovese - erano “persone oneste”, “di cui andare orgogliosi” e che “ci faranno sentire più europei e, per una volta, non ci faranno vergognare di essere italiani” (link). De Magistris a sua volta non perdeva occasione per dire frasi del tipo: “Beppe Grillo del quale mi onoro di essere amico…”. E cose così. Tutto uno sbaciucchiamento generale, in breve.

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Ma le cose, quelle cose, sarebbero completamente cambiate nel giro di un anno e mezzo.

Nell’autunno del 2010, l’Italia dei valori era alle prese con una questione di quelle spinose: gli imbarazzanti salti della quaglia dei vari Porfidia, Razzi e Scilipoti. E quella era davvero  una bella grana. Ma in quei mesi Di Pietro prese anche un’altra decisione difficile: decise di troncare il suo rapporto con Gianroberto Casaleggio e la Casaleggio Associati, la società che curava contemporaneamente la comunicazione web dell’Iddivì e il blog di Grillo (link). E sempre in quei mesi: Grillo e Casaleggio cominciaro a premere l’acceleratore per sviluppare il loro progetto di un MoVimento a 5 stelle. Il divorzio si consumò in maniera silenziosa. Ma da quel momento i rapporti tra il comico genovese, Di Pietro e le altre “persone belle dentro” del “partito degli onesti” sarebbero cambiati in modo radicale.

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E’ così che - un po’ a sopresa, nel settembre del 2010 - Massimo Donadi, il capogruppo dell’Iddivì alla Camera, attaccò frontalmente Grillo. E, sul suo sito, definì le nascenti liste civiche del MoVimento a 5 stelle la “polizza a vita di Berlusconi”, perché sottraendo voti al centrosinistra, avrebbero avvantaggiato l’odiato Cavaliere di Arcore, l’aspirante dittatore.

Grillo - a sua volta - cominciò, attraverso il suo blog, a punzecchiare e criticare i due europarlamentari di punta dell’Italia dei valori: i prodi De Magistris e Sonia Alfano. Come mai? Mistero fitto, per lo meno in apparenza. Sonia Alfano - con una lunga lettera aperta (link) - provò a chiedere una qualche spiegazione. Ma senza successo. Il comico genovese - o chi per lui - rispose con uno sprezzante silenzio.

Gli elettori e i fan di Grillo, Di Pietro&co rimasero disorientati. Sul blog di Sonia Alfano, un lettore commentò lapidario: “Io non c’ho capito niente, ma così sbagliamo perché siamo quattro gatti e litighiamo pure fra noi”. E quello era il sentire di tanti altri. Del resto: c’era o non c’era un “paese da salvare”, un aspirante dittatore da fermare, e un “partito degli onesti” da votare con tante “persone belle dentro”? Perché dividersi, dunque? Un ragionamento che aveva una sua logica. Ma altra era la logica che evidentemente muoveva i giocatori di questa partita. E infatti la tensione continuò a crescere. E gli scontri si fecero via via più cruenti. Fino alla rottura definitiva.

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Trascorsi alcuni mesi, nella primavera del 2011, De Magistris decise di mollare il Parlamento europeo e di candidarsi a sindaco di Napoli. E furono fuochi artificiali.

Il blog del comico genovese pubblicò un post al vetriolo per scomunicare l’ex pm di Catanzaro, che si trasformò - per Grillo e i suoi - da persona per bene a persona assai per male (link). Titolo: “Comprereste un voto usato da quest’uomo”. Succo: De Magistris ci ha tradito, perché si era impegnato a fare certe cose al Parlamento europeo e invece ora si candida a primo cittadino della sua città.
In realtà a leggerlo bene quel post così feroce, si diceva anche altro. Scriveva infatti Grillo:
Quando sbaglio lo faccio in buona fede, ma subito dopo mi incazzo con me stesso. Di errori ne ho commessi molti e purtroppo ne commetterò altri, uno dei più imbarazzanti è stato Luigi de Magistris, eurodeputato grazie (anche) ai voti del blog come indipendente che subito dopo si è iscritto per coerenza a un partito.
Insomma: sì, va bene l’incoerenza e le promesse mancate. Ma tutta quella vicenda - con gli stracci e gli insulti che volavano - si poteva leggere anche in un altro modo: De Magistris e Sonia Alfano erano stati eletti in Europa con l’Italia dei valori, ma grazie anche ai voti dei fan del comico genovese. Dunque: con chi volevano stare: con Di Pietro o con Grillo e il nascente MoVimento a 5 stelle? De Magistris aveva scelto l’Italia dei valori e la poltrona di sindaco a Napoli. E che mal gliene incogliesse. Anzi, per usare l’espressione più cara al comico di Genova: e allora, che andasse un po’ affanculo. L’ex pm di Catanzaro che un tempo si “onorava” dell’amicizia del comico genovese decise, a sua volta, di non onorarsi più. E rispose per le rime (link):
È evidente a tutti che l’attività di Grillo è in qualche modo guidata da ben noti gruppi imprenditoriali e della comunicazione che lavorano con lui. Evidentemente vuole mantenere il suo marchio, ma non gli importa nulla che la politica funzioni. Anzi, se la politica funziona Grillo non ha più ragione di esistere (…)  Invito Grillo a stare più tra il popolo e un po’ meno in pantofole nelle sue abitazioni di lusso che ho avuto l’onore di frequentare e che ben conosco
Tradotto: forse che De Magistrsi intendesse dire che a Grillo, sedicente alfiere dei poveri italiani oppressi, interessavano solo i quattrini e il suo buisness (anzi: buisnéss, come si dice a Napoli)? Ohibò, parrebbe proprio che questo intendesse De Magistris. E non suonava - e non suona - affatto bene.
Rimaneva Sonia Alfano. Che - senza stare a pensarci due volte - decise pure lei di schierarsi con l’Iddivì e con l’ex pm di Catanzaro. E per proclamarlo urbi et orbi rilasciò un’intervista a SkyTg24, in cui paragonava sempre lui, Grillo, al satana dell’Italia dei valori, insomma a Silvio Berlusconi.

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E così Di Pietro si tenne quel che restava del suo trio d’attacco. E per di più guadagnò la poltrona di sindaco di Napoli, che andò - appunto nella primavera del 2011 - a De Magistris, e quindi, all’Iddivì. Ma quella vittoria fu la classica vittoria di Pirro. (4 - continua)


Tra i commenti:

 Antonio Cavaciuti (admin) says:
@Vamba,
per non perdere il filo, ti rispondo qui.
“ma anche negli altri paesi (industrializzati) la politica è una casta come in Italia?”
Dunque. La tua è una domanda che in inglese verrebbe definita yes or not question. Ossia: io dovrei rispondere con un sì o un no e - eventualmente - argomentare. Ma non lo farò.
E non lo farò, perché con la tua domanda sollevi, in realtà, tante spinose questioni.
La prima. Quando ci si riferisce ai nostri politici, si parla spesso - e impropriamente - de La Casta. In realtà, nel Belpaese, le caste - ossia gruppi di individui con privilegi ingiustificati - abbondano. Pensa banalmente ai notai (o a quasi ogni altro ordine professionale, perché gli ordini, in Italia, più che controllare la qualità degli iscritti si comportano da lobby). Ma pensa anche ai pensionati con il sistema contributivo retributivo (quelli, per capirci, che sono nati nei Quaranta o nei Cinquanta) che prendono pensioni che i loro figli si possono solo sognare. Dici tu: e quindi? E quindi - dal mio punto di vista - in un sistema siffatto, i politici non sono altro che un riflesso della società che li esprime: una casta pure loro, anzi una supercasta. Ma non La Casta, ossia non l’unica.
Punto secondo. Una casta, dicevamo. E tu mi chiedi: ma anche negli altri Paesi (industrializzati) è così? Risposta: di nuovo, mica è così semplice. I paesi (ufficialmente) sviluppati (economicamente) sono 34 (e sono quelli che aderiscono all’Ocse). E la situazione è piuttosto eterogenea. Certo negli Stati Uniti, per esempio, abbiamo avuto - negli ultimi anni - presidenze di Bush padre e figlio e un Clinton presidente e un altro (la moglie) segretario di Stato (l’equivalente del nostro ministro degli Esteri). E’ sufficiente per parlare di Casta? Io non lo so. Ma temo che la situazione anche negli altri Paesi (industrializzati) non sia poi così rosea. E questo forse - forse - ti spiega il declino politico (e anche economico) che l’Occidente tutto sta vivendo. Perché - ma questo la nostra stampa che pecca tanto di provincialismo non lo spiega - mica solo la “Italietta” è in seria difficoltà. Anche USA e il resto della Ue soffrono. Mentre l’Asia e parte del Sud America viaggiano - in confronto a noi - a gran ritmo.
O almeno: questa è la mia opinione.
Spero - pur sintetizzando al massimo - di averti spiegato il mio punto di vista. E - al solito - grazie per lo stimolo.

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Erano 4 amici (e prendevano un mucchio di voti) - ultima puntata

26 luglio 2012. L’Italia dei valori pubblica sul suo sito (link) un video che è, letteralmente, tutto un programma. All’inizio del filmato, Angelino Alfano, Pierferdinando Casini e Pierluigi Bersani - i leader dei tre partiti che sostengono il governo Monti - si trasformano in altrettanti zombie alla caccia di elettori da mangiare. Poi appare l’ex pm di Mani Pulite ora eterno leader dell’Iddivì, Antonio Di Pietro. E, con faccia da funerale, chiosa: “La maggioranza non esiste più. E’ solo una banda di morti viventi che per nutrirsi cannibalizza il Paese”. Che dire? Evidentemente: è tramontata per sempre la stagione degli aspiranti dittatori (leggi: il principe del male Berlusconi), ed è cominciata l’alba - perdindirindina! - dei terribili morti viventi. Del resto: i governi cambiano. Ma Di Pietro&co, no. Per loro, l’importante è sempre e solo esagerare.

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Questo spot stile horror movie, però, non è solo un attacco al governo guidato dall’ex presidente della Bocconi. E’ anche e soprattutto un strizzata d’occhio al nuovo e nuovento Movimento 5 stelle e a quel Beppe Grillo che da anni ripete, per l’appunto, che i partiti tradizionali sono morti. Anzi: non una strizzata d’occhio, ma l’ennesima strizzata d’occhio. Del resto Di Pietro non ne fa mistero (link): da settimane ripete che lui vorrebbe fare un’alleanza con il comico genovese. E non è neppure tanto difficile capire il perché. L’Italia dei valori - secondo gli ultimi sondaggi elettorali condotti da EMG per La7 (link) - prenderebbe poco più del 7% dei voti. Mentre il nuovo partito a 5 stelle vale più del doppio: il 16%. Insieme porterebbero a casa un voto su cinque. Una potenza.

Una logica, insomma, c’è. La coerenza, invece, sembra essere proprio un optional a casa iddivì. Per capirlo, basta fare giusto qualche passetto indietro.

Una manciata di mesi fa - ad aprile del 2012 - il leader maximo Di Pietro, in una intervista a “Il Fatto quotidiano” (link), aveva dimostrato di avere ben altre idee per la testa: “Tra me è Grillo c’è una sola differenza. Io critico, ma voglio costruire una alternativa. Lui mira a sfasciare tutto e basta”. Domanda: e che ci si allea con gli “sfascisti”, quindi? Risposta: in teoria, no. In pratica: si può fare. Soprattutto se portano in dote un mucchio di voti.

Epperò: la marcia di avvicinamento verso il Movimento a 5 stelle era ed è soprattutto un’autentica inversione ad U rispetto all’indimenticabile svolta moderata dell’Italia dei valori. Svolta moderata? Sì, sì. In questi anni, come dire?, particolari, abbiamo visto pure questo. Abbiamo visto Di Pietro abbandonare i panni del gladiatore antiberlusconiano, per vestire quelli del politico “responsabile”. Un cambio d’abito, invero, durato pochissimo.

Era la primavera del 2011. L’Italia dei valori aveva appena incassato la poltrona di sindaco di Napoli e il successo nei referendum su acqua e nucleare. E tutto, insomma, pareva andare per il meglio. Compreso il divorzio proprio da Grillo e dalla Casaleggio Associati. Divorzio che non sembrava aver minimamente intaccato potere e popolarità dell’ex pm di Mani Pulite e del suo partito.

Di Pietro guardava con tranquillità al domani: alle elezioni politiche prossime venture e a un possibile impegno di governo. Nuovi traguardi cui il leader Iddivì voleva arrivare preparato. E con un’immagine nuova di zecca. Una immagine più digeribile per il cosiddetto elettorato moderato e pure per alcuni possibili alleati come il Partito democratico. Dopo anni passati a criticare “il sistema” da destra a sinistra e ad invocare, ogni tre-per-due, il rischio dittatura, occorreva - però - una giravolta. E l’ex pm - invero con grande nonchalance - la fece.

La data chiave del salto mortale è il 13 giugno del 2011. Gli italiani avevano appena votato contro il nucleare e per l’acqua pubblica. I referendum,  promossi dall’intero centrosinistra, erano stati un autentico successo. E il Partito democratico oltre ad esultare, chiese a gran voce una sola cosa: le dimissioni di Berlusconi. Di Pietro, ‘ste dimissioni, le chiedeva da anni 3, ossia da quando il Cavaliere era diventato primo ministro. Tutti d’accordo, quindi? Ma manco per niente. Per il leader dell’Italia dei valori (link), le cose non stavano affatto così: “Sono andati a votare sì anche molti elettori del centrodestra. Per rispetto nei loro confronti non possiamo chiedere le dimissioni del governo solo in nome dei referendum”.

Prego? Ma non si era detto che Berlusconi era come Mussolini, Hitler, Videla, Saddam Hussein, e che ancora un po’ e bisognava chiamare i caschi blu per liberarsi di lui? “Più che Videla, Berlusconi è Do Nascimiento”, spiegò Di Pietro in una indimenticabile intervista a “Il Corriere della Sera” (link). Do Nascimiento come il mago che aiutava Vanna Marchi nelle sue truffe? Esatto. E poi, quasi strappalacrime: “Berlusconi oggi è una persona sostanzialmente sola, che cerca di comprare una felicità che non ha. I miei sentimenti sono di humana pietas per lui. E di rabbia per i cortigiani che di lui si approfittano”, aggiunse il leader Iddivì con parole che sapevano di autentica commozione e umana comprensione. Roba da rimanere a bocca più che aperta. Spalancata. 

Finita lì, almeno? No, perché il salto mortale suggellato da quella intervista era di quelli carpiati.
Il leader a vita dell’Iddivì si disse pure pronto a votare eventuali buoni provvedimenti presentati dal governo targato Berlusconi. E soprattutto sgomberò il campo da alcuni incresciosi equivoci, raccontando un illuminante aneddoto: “Se verrà a trovarmi a Montenero, le mostrerò una cosa che custodisco fin dai primi Anni Sessanta: Il portafoglio di mio padre, Di Pietro Giuseppe, contadino. Morto a 72 anni cadendo dal trattore. Nel suo portafoglio non c’era mai una lira, ma un’immagine della Madonna di Bisaccia. E due sole tessere. Lui le chiamava “il fascio di grano” e “la Libertàs”. Erano della Coldiretti e della Dc. (…) Io comunque vengo da lì. Dai cattolici, dai moderati. Ho studiato in seminario. Non sono un uomo di sinistra”. 

E passi il cattolico. Ma moderato? De che? Da quando? 

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Non era forse lui, con l’inseparabile megafono, a urlare nelle piazze dei vari No-B day e dintorni? E non era sempre lui - quello che non è di sinistra - ad aver fatto una giunta a Napoli con due soli partiti, il suo e Rifondazione comunista? “E’ tempo di andare oltre il mero antiberlusconismo”, spiegò Di Pietro in una intervista al Tg3 (link). E di più non dimandare.

Qualcuno, comunque, ci provò a chiedere conto di quanto stava avvenendo. Era il cosiddetto popolo viola che, appunto, Di Pietro tante volte aveva portato a manifestare contro Silvio “Mussolini-Hitler-Videla-Hussein” Berlusconi. Popolo viola che scrisse all’eterno leader Iddivì una lettera aperta per chiedere lumi (link): “Che vuol dire “basta piazza si passa alla proposta per l’alternativa”? Non abbiamo forse detto, in questi ultimi due anni, che il nostro Paese vive un’anomalia democratica e che per sanare questa anomalia occorre mandare a casa il suo interprete massimo e cioè lo “stupratore della democrazia” (ossia Berlusconi, NdBamboccioni)? Non abbiamo forse detto che la protesta ha un valore costituente in un Paese in cui (così come nel fascismo) vengono scardinati i principi chiave del patto di convivenza civile come quello, per esempio, che sancisce l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge? Cos’è cambiato?”. 

E cosa fosse cambiato davvero non si capiva. E non lo capì neanche il neo-sindaco di Napoli, Luigi De Magistris che dichiarò papale papale (link): “Cercare la svolta centrista è un errore. Non è ciò che vogliono i nostri elettori”. E per non sbagliare, lui, De Magistris restituì la tessera dell’Italia dei valori. Ufficialmente: era un gesto simbolico per dire che voleva essere il sindaco di tutti i napoletani. Ufficiosamente: mezza stampa nazionale scrisse che il neo primo cittadino voleva fondare un nuovo movimento o partitino (movimento o partitino che, per la cronaca, potrebbe partecipare già alle prossime elezioni - link).

Con De Magistris mezzo dentro e mezzo fuori, il “partito degli onesti” e delle persone “belle dentro” che doveva fermare l’aspirante “dittatore” Berlusconi perdeva, dopo Vulpio, un altro pezzo pregiato. E sempre in quell’inizio del 2011, se ne era andato anche lo storico Nicola Tranfaglia, che dell’Italia dei valori era il responsabile per la cultura. Un addio non proprio sereno. Tranfaglia, sul suo profilo facebook, scrisse (link): “Purtroppo ho dovuto verificare come le speranze mie e dei simpatizzanti dell’Italia dei Valori fossero, a dir poco, eccessive e mal risposte. Ho conosciuto bene in questi anni il partito fondato da Di Pietro e ho dovuto constatare che, pur avendo al suo interno sinceri riformatori, è rimasto ahimè un partito troppo personale, o meglio un partito personale e familiare, governato con pugno di ferro dall’ex pm di Milano e da una schiera di amiche e parenti di ogni ordine e grado”.

Parole e dissensi pesanti. Che però non frenarono, per parafrasare Tranfaglia, il pugno di ferro dell’ex pm di Milano. Anche perché il tempo di quel partito lì - piazzaiolo, barricadero, duro e puro - era agli sgoccioli. Il dittatore si era rivelato un semplice truffatore. I paladini - i De Magistris, i Vulpio, le Alfano - forse non erano più paladini; o forse non lo erano mai stati. Sicuramente non erano più indispensabili alla causa dell’Italia dei valori. E infatti, pure la Alfano, di lì a pochi mesi, sarebbe stata allontanata dal partito. Con buona pace di quegli elettori - ed erano stati tanti - che avevano davvero creduto all’incubo dittatura e  al sogno incarnato da quelle persone “belle dentro”.

Insomma: un po’ come quando la tourné di uno spettacolo finisce, si smontava la scenografia e gli attori erano liberi di andare ognuno per la propria strada.

E Di Pietro, appunto, tirò dritto per la sua, di strada. E - a settembre 2011, al congresso del partito, a Vasto - alzò ufficialmente il sipario su quella che lui stesso definì l’Idv numero 2, quella “moderata”, quella “niente proteste, solo proposte”. E sempre al congresso del partito, il leader dell’Italia dei valori invitò anche Nichi Vendola e Pierluigi Bersani, il segretario del Partito democratico. Piddì che - per il blog di Grillo - era già uguale al Pidielle. Ma che - per Di Pietro - non era ancora uno zombie. Anzi.
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L’eterno leader Iddivì annunciò che con Vendola e il futuro morto vivente Bersani avrebbe fatto una bella coalizione per vincere le prossime elezioni politiche: “Questa sera - spiegò con un video pubblicato sul canale YouTube dell’Italia dei valori e girato al congresso di Vasto (link) - abbiamo indicato un percorso con una tempistica e un programma, e soprattutto una base di coalizione su cui poi si possono innestare anche altri”.

E la “base” e il “percorso” e un “programa” ci saranno pure stati. Ma della coalizione, per ora, non se ne è fatto nulla. E così anche la svolta moderata è finita rapidamente - assai rapidamente - in soffitta. Ed ora è di nuovo tempo di corteggiare il politico più barricadero d’Italia: l’ex sodale Grillo.

Vero è che sono cambiate tante cose. Che il governo Berlusconi è caduto. Che ora il Partito democratico governa con il Popolo delle libertà e l’Udc, in una strana maggioranza di destra-sinistra-centro. Che Bersani sembra preferire Casini a Di Pietro. Vero è, insomma, che il panorama politico italiano è cambiato. Ma due giravolte di fila hanno finito per disorientare perfino alcuni fedelissimi. Come il capogruppo iddivì alla Camera Massimo Donadi che ha minacciato di lasciare il partito in caso di alleanza con il MoVimento a 5 stelle (link). O come il senatore Elio Lanutti, che tra l’altro è anche il fondatore dell’associazione di consumatori Adusbef, che invece ha già abbandonato l’Italia dei valori e fatto capire che potrebbe passare con Grillo (link). Da un estremo all’altro. Come il loro leader, del resto. Che ha infilato due inversioni a U nel giro di due anni - da Grillo (e Casaleggio) a Bersani e ritorno. E domani chissà.

Una parabola che - è ancora presto per dirlo - potrà rivelarsi discendente o ascendente. A decidere saranno gli elettori. Anche se all’interno dell’Italia dei valori non mancano le voci pessimiste. Come quella del giornalista, Daniele Martinelli, ex volto e voce della web tivù dell’Iddivì. Che sul suo blog (link), qualche settimana fa, ha scritto:
E’ da un anno a questa parte che dentro il partito tira aria di smobilitazione generale per l’ascesa di Grillo. Serpeggia consapevolezza di sentirsi assorbiti dal Movimento 5 stelle perché gran parte dell’elettorato di Idv è di quell’area. Internettiana si intende, che non fraintende equivoci in materia di costi della politica e di alleanze coi De Luca della situazione.
Eh già. Certi elettori proprio non fraintendono equivoci. Qualunque cosa voglia dire. E comunque: Martinelli, nel dubbio, ha già traslocato. E - come ha spiegato in un post ad hoc (link) - è passato al MoVimento 5 stelle pure lui. (5 - fine)


Tra i commenti:

Antonio Cavaciuti (admin) says:
@tutti,
e aggiungo anche questo…
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-benvenuti-al-funerale-del-partito-dei-giudici-violante-accusa-di-golpe-il-fatto-42859.htm
come spunto di riflessione per il futuro.