Ricapitolando, per essere filologicamente corretti: l’espressione
testuale «fascisti del web» Bersani non l’ha usata, e ciascuno – vedendo
il video su YouTube – può decidere se si tratta di una sintesi
giornalisticamente corretta o fuorviante (certo, all’Unità non è dispiaciuta)
Ma, filologia a parte, non è certo la prima volta che Bersani si lascia andare a opinioni sulla Rete che palesano una certa alterità, se non una palese avversione. Arturo Di Corinto e io ci abbiamo dedicato diverse pagine dei “I nemici della Rete”, un paio d’anni fa, e purtroppo la situazione non pare molto migliorata. Anzi.
Il problema culturale di base lo sintetizza bene Luca Sappino nel suo ultimo post. Bersani
pare convinto che la Rete non faccia parte davvero della realtà, che
sia una cosa altra e contrapposta rispetto al mondo vero, quasi un
rifugio in cui si nascondono i malintenzionati («venite fuori a dircele
certe cose», sottinteso: “se ne avete il coraggio”).
In più, rifletteva ieri su Facebook la collega e amica Cristina
Cucciniello, in Bersani sembra essere scattato un meccanismo mentale
secondo cui il web starebbe a Grillo come le tivù stavano a Berlusconi.
Un qui pro quo non solo assurdo (la Rete, per ora, non ha padroni) ma
soprattutto autolesionistico, dato che offre su un piatto d’argento a
Grillo proprio quello che Grillo vuole, cioé identificarsi con tutto il
web italiano pur essendone solo una (minoritaria) parte.
Ora, tuttavia, io non spenderó più tempo ed energie per provare a
spiegare a Bersani che realtà digitale e realtà fisica non sono
antitetiche ma si compenetrano e si alimentano a vicenda; né gli
riscriverò che la salamella e la bocciofila non sono alternative né
tanto meno conflittuali rispetto alla Rete e ai social network; né gli
ripeterò che se non capisce internet non capisce un pezzo importante
della realtà (anche) italiana di questo secolo.
Eccetera eccetera.
Non spenderò più tempo ed energie in questo perché l’ho fatto anche
troppo, e perché mi pare lo abbiano appena fatto benissimo due amici che
credono ancora nella possibilità di cambiare da dentro questo Pd, come
Antonio Tursi e Pippo Civati, con il loro ultimo libro.
Io lascio perdere, perché invece del Pd mi sento ormai un ex elettore
e non certo a causa dell’analfabetismo digitale del suo segretario, ma
per tutte le scelte politiche ed economiche che ha fatto da tempo, con
una catastrofica accelerata dal novembre scorso a oggi. Che con il “non
capire il web” c’entrano poco, ma forse hanno a che fare con il tema più
ampio del non capire il presente.
Scritto domenica, 26 agosto, 2012Fonte: Piovono rane
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Siamo in rete, mica sulla Luna.
Potremmo notare in molti che Bersani ha ragione quando, dalla
festa nazionale del Pd, attacca Grillo, ma soprattutto quando richiama
alleati vecchi e nuovi, invitando tutti alla cura del linguaggio,
perche’ il decadimento delle parole e’ sintomo innegabile (o, alle
volte, causa) delle più pericolose derive politiche. Anche i sassi,
infatti, ormai sanno che proprio nel linguaggio c’e’ la fortuna del
berlusconismo, così come del maschilismo o del razzismo. Ha ragione
dunque Bersani quando stigmatizza il continuo tirare in ballo “zombie” e
“cadaveri” quando si parla del Pd. Ha ragione Bersani anche se e’ un
po’ come guardare il dito e non la luna (Di Pietro muove osservazioni
politiche precise e programmatiche al Pd, sul lavoro come sulla riforma
elettorale o sui rapporti con il Quirinale).
Ma continuando nel dare ragione a Bersani mi permetto di notare che
anche il suo, di linguaggio, lascia intendere almeno una non rosea
deriva. Perche’ Bersani ha testualmente detto: “Vedo che sulla rete si
sono rivolti al nostro partito dei linguaggi del tipo ’siete degli
zombie, dei cadaveri, vi seppelliremo vivi’. Vengano qui a dircelo,
vengano via dalle rete. Vengano qui”. E, siccome lui ha ragione e le
parole sono importati, occorre far notare al segretario del primo
partito italiano, che magari ha intenzione di affrontare e magari
risolvere i temi dell’agenda digitale, della gratuita’, della libertà,
della partecipazione e della diffusione della rete, che la rete,
appunto, non e’ luogo diverso da qui, e non e’ tempo diverso da ora.
La rete e’ qui e ora, tanto reale quanto il suo palco, ma più vicina.
La rete non e’ la luna, e chi naviga non e’ un marziano: e’ un
cittadino, spesso elettore e alle volte militante politico. Ma Bersani
sicuramente lo sa: usi dunque altre parole, che altrimenti qualcuno –
maligno – potrebbe sostenere il contrario.
(ps. tastiera inglese, mi scuso per accenti e compagnia)
Scritto sabato, 25 agosto, 2012 alle 20:32
Fonte: Luca Sappino
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26 AGOSTO 2012
Era Partito Digitale
Certo che abbiamo un tempismo. Avevamo appena fatto in tempo a far uscire questo libretto, Partito Digitale.
Che voleva essere uno spunto di riflessione, ecco, su come la Rete sta
cambiando, anzi, nei fatti ha già cambiato la politica in Italia, e su
come anche il Pd potrebbe imparare a usarla meglio. E’ una raccolta di
brevi saggi, di autori che sull’argomento ne sanno un tot (e poi c’è il
mio, che abbassa il livello), a dimostrazione del fatto che – ebbene sì –
anche in area Pd c’è gente che la Rete la conosce, la sa usare,
soprattutto la sa spiegare. La riconosce come parte di un ambiente
naturale che della realtà è un suo aspetto, non una cosa diversa da.
Il libretto è costato zero, tutti gli autori hanno partecipato pro bono ed è a disposizione del Partito, in prima battuta, ma anche di tutti coloro che si interessano di queste cose, o vorrebbero interessarsene: a patto che interessi, e a volte non sembra, purtroppo.
Infatti, rispetto a quello che Bersani ha detto ieri – tempismo, appunto – già altri hanno fatto notare che non ha molto senso chiedere a chi attacca il Pd stando in Rete di venire fuori, di venire qui a dircelo (anche perché, a esser precisi, a volte vengono davvero). Che non esistono fascisti del web e fascisti-fascisti, ma solo, al limite, fascisti, e che comunque che questa è gente che fuori dal web ci va eccome, almeno una volta di sicuro: quando va al seggio e vota qualcun altro, perché non trova nel Pd le risposte che cerca. E non le cerca solo su Wikipedia, per capirci, è proprio che quelle risposte non ci sono. Non ci sono fuori dal web, perché quando qualcuno rinfaccia al Pd di non avere una posizione chiara su tante questioni, o di aver pesanti responsabilità nei guai di questo Paese, dice una cosa che è vera su Facebook quanto lo è se detta al bar. E non ci sono nel web, perché ancora adesso, nel 2012, il Pd è un partito a cui non ci si può nemmeno iscrivere on line, che non ha mai affrontato il tema della partecipazione on line, e che soprattutto prometteva di votarsi alla modernità quando è nato, ma da allora non ha fatto altro che andare a ritroso.
Andrebbe anche dato il dovuto peso alla differenza tra una cosa scritta da un semplice commentatore o militante, e la posizione ufficiale di un leader politico, che poi è la differenza tra uno che passa di qui e insulta perché è incazzato, e quello che scrive Beppe Grillo sul suo so called blog: perché non è proprio la stessa cosa, e a dirla tutta sono stati soprattutto i media tradizionali – la tivù su tutte, nell’ultima campagna elettorale – a dar spazio a un sentimento che era evidentemente montante, e che quindi non riguardava solo un’inesistente nicchia di esclusivi frequentatori del web preclusi al mondo reale.
Dopodiché, è probabile che il fastidio nasca dall’incapacità di starci, in Rete, oltre che dai toni generali che tante discussioni assumono, ed è vero che spesso gli argomenti sono fasulli, i toni qualunquisti e il linguaggio offensivo. Ma questo è il bello e al tempo stesso il brutto del web, che è libero in modo assoluto, spiazzante, disturbante, ma almeno si gioca alla pari, e si può rispondere: se si è in grado. Qui ad esempio non ci si è mai spaventati per i toni forti, al contrario li si cercano insistentemente ed è anche per questo che si son fatti culi come capanni ai grillini, ai bei tempi in cui i più molesti eran soprattutto loro e non, come capita da un po’ di tempo in qua, i bersanoidi.
Ma è comprensibile che non a tutti piaccia il wrestling, lo capisco. Per i palati più fini, però, nel Pd ce ne sono, di personalità che sanno abitare la Rete, sanno argomentare, sanno rispondere a tono senza farsi tirar dentro la fanga, e alcuni lo fanno da anni e anni, senza che peraltro il Pd abbia mai pensato di valorizzarne le competenze; e ce ne sono altri che del Pd non sono, ma che forse guarderebbero con più fiducia alla politica del nostro partito, se non fosse che quando il Pd stesso si occupa di Rete riesce a dare il peggio di se, come accaduto in occasione delle nomine Agcom. Tutta gente cui la classe dirigente del Pd non riconosce la competenza e nemmeno l’esistenza, e di cui comunque diffida o che accusa di fighettismo antipopolare (mentre invece, i convegni e i tomi sulla socialdemocrazia prodotti dalle fondazioni Dem, quelli sì che vanno in prima serata).
Che poi è quello che un po’ sostengo nel mio contributo a Partito Digitale, quando parlo della difficoltà del centrodestra berlusconiano a rapportarsi con la Rete: che agli avversari sembrano proprio mancare le teste, le competenze più o meno d’area, per colpa – ma non solo – di un diverso rapporto con la loro leadership e della cultura più marcatamente televisiva che li ha caratterizzati sin qui. Quando invece, la cultura del dibattito che è propria del centrosinistra, e che è nativa nel Pd, almeno in teoria dovrebbe sentire la Rete come casa sua, a patto che ne accetti la sua natura frammentata, spesso conflittuale e comunque non centralizzabile.
Dopotutto – semplificando – è molto più
facile imbattersi in un blog di sinistra che in un blog di destra,
e questo dovrebbe essere per il Pd un bene, a meno che, al contrario,
chi lo guida non viva tutta questa libertà di discussione come una
minaccia alla famosa linea politica, se non – nientemeno – alla pretesa
di un’egemonia culturale molto ma molto più virtuale di qualsiasi social
network.
E infatti mi sa tanto che il problema in fondo è tutto qui.
Fonte: Popolino
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Su Bersani e i «fascisti del web»
agosto 26, 2012
Prima di tutto, sgomberare il campo dal non detto: l’espressione «fascisti del web», criticatissima, è giornalistica, e non di Bersani. Quindi non significa che il web è fatto solo di fascisti, che il web porta a essere fascisti, che il web è altro dalla realtà
e tutte le altre cose palesemente errate che comporta quella riduzione
giornalistica. Cosa ha detto Bersani? Che a volte corrono sulla rete
«linguaggi fascisti», e che sia vero è il segreto di Pulcinella:
chiunque abbia osato criticare gli integralisti dell’indignazione – che,
sia chiaro, ci sono anche nel Pd, eccome se ci sono – lo sa benissimo, e
basta scorrere alcuni commenti su questo blog per rendersene conto.
Bersani si è poi lasciato prendere la mano dalla foga del comizio, e se
ne è uscito con una frase da bullo di periferia, del tipo «andiamo
fuori»: «vengano qui a dircelo, via dalla rete, venite qui a dircelo».
Ma anche qui non mi pare ci sia la volontà di innalzare un muro tra reale (educato) e virtuale (maleducato),
quanto piuttosto di svelare l’altro segreto di Pulcinella, e cioè che
fare la voce grossa su Facebook è molto più semplice che farla de visu
– per non parlare del fare politica, che in sostanza è il succo
dell’intervento di Bersani, se non l’ho capito male. Che poi grillini e
dipietristi si sentano chiamati in causa, che il Fatto scomodi la balla
del «pensiero unico» (quando solo a sinistra ce ne sono almeno tre o
quattro, anche sulla carta stampata), che insomma tanti si sentano
offesi è normale conseguenza della traduzione giornalistica del
messaggio di Bersani. Che, letto di fretta e dal cellulare ieri sera,
aveva mandato su tutte le furie anche me. Perché avrebbe confuso un
preciso fenomeno storico – il fascismo – con un banale insieme di
insulti e intransigenza; perché avrebbe usato lo stratagemma tipico del
berlusconismo («comunisti!») alla rovescia; perché, appunto, avrebbe
comportato l’ennesimo endorsement di un politico di primo piano della
falsa dicotomia tra realtà e Internet. A sentire le parole di Bersani,
invece, queste accuse cadono. Resta la strategia non proprio memorabile
di attaccare potenziali elettori e alleati passati, presenti e (chissà)
futuri proprio quando li si dovrebbe sedurre – magari chiudendo un
occhio – per evitare di essere costretti ricorrere alla ‘grande
coalizione’. E di attaccarli ricorrendo al peggior gergo della politica
umorale di cui, Bersani lo sa bene, proprio gli integralisti
dell’indignazione sono maestri. Un errore non sociologico ma politico, insomma. A meno che l’ottica, al di là delle dichiarazioni, sia proprio quella della ‘grande coalizione’.
Fonte: Il Nichilista
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Appunto per gli «antifascisti del web»
agosto 27, 2012
Visto che quando, come ora, si discute di «fascisti del web», di «insulto dunque navigo»
e altre generalizzazioni simili non manca mai – prima o poi – di farsi
avanti chi ritenga che il problema si possa risolvere abolendo
l’anonimato su Internet, vale la pena riportare la sentenza – all’unanimità – degli otto giudici della Corte Costituzionale della Corea del Sud, che ha giudicato l’idea non solo incostituzionale, ma anche e soprattutto inefficace
rispetto all’obiettivo di ridurre insulti e diffamazioni online. Oltre
che contraria alla libertà di espressione degli utenti, naturalmente:
«Espressioni sotto anonimato o pseudonimo», hanno affermato i giudici,
«consentono alle persone di dare voce alle loro critiche alle opinioni
dominanti senza cedere a pressioni esterne». E ancora: «Anche se
l’anonimato online ha effetti collaterali, dovrebbe essere fortemente
protetto per il suo valore costituzionale».
Da oggi, insomma, quella
legge è lettera morta, e i sudcoreani potranno navigare senza doversi
registrare per commentare su circa 150 siti con oltre 100 mila
visitatori al giorno.
Un’ultima annotazione: l’idea non funziona nemmeno
moltiplicando i controlli, come dimostrato dal fallimento della real name policy sul social network cinese, Weibo.
Il che significa che non basta nemmeno trasformare una Rete da Stato
democratico in una da Paese autoritario. Chissà che il caso della Corea
del Sud non convinca, finalmente, i Barbareschi, le Carlucci, le Randy Zuckerberg e tutti quegli «antifascisti del web» della cui resistenza facciamo volentieri a meno.
[D'accordo con il Nichilista. Viva l'anonimato su internet.
E per stracciare i «fascisti del web» bastano solide argomentazioni e riportare i fatti. Da anonimi.
Non serve metterci la faccia nè il nome. E' il modo di comunicare e il contenuto che fanno la faccia e la reputazione.
Questo è il bello del web.
E poi ci si vede nella vita reale, dove davvero conta quello che si comunica anche dal web, e se ne vedranno i risultati.
E anche vedendo questi risultati si potrà vedere chi è il «fascista del web» e chi no.]
Fonte: Il Nichilista
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domenica 26 agosto 2012
I veri problemi degli italiani
Tizio attacca a testa bassa – e anche un po’ offensivamente – Caio.
Attacca oggi, attacca domani, alla fine Caio risponde rusticamente per
le rime nell’ambito di un discorso in cui ha parlato di altre cinquanta
questioni, ma i giornali riportano solamente quella frase, peraltro
gonfiandola assai.
A quel punto, Sempronio critica Caio perché è mancato di fair play,
Pinco Pallo rileva, per l’ennesima volta, che Caio non ci ha capito una
mazza di tutto il famoso ambaradan, mentre Vattelapesca distingue tra
Tizio e i seguaci di Tizio e ricorda di quella volta in cui anche gli
amici di Caio non erano stati tanto gentlemen.
Tizio replica da par suo a Caio, mentre gli amici di Caio si fanno sotto con Vattelapesca e Caio risponde a Tizio.
(ad lib)
...e siamo soltanto all’inizio, aspettiamo con ansia la campagna elettorale vera e propria.
Tra i commenti:
- ArgoTone 26 agosto 2012 14:28Tra l'altro le reazioni confermano che Bersani ha ragione: ad alcuni il web fa male. Un po' di vita reale in più non guasterebbe. O anche una vacanza, eh.
- Alessandro M. 26 agosto 2012 20:55La cosa veramente preoccupante, se vogliamo addirittura drammatica, me ne sono reso conto questa sera, è che è solo l'inizio della campagna elettorale. E io che mi illudevo che via Berlusconi (forse) le cose si sarebbero un pochettino 'normalizzate'.