martedì 21 agosto 2012

Antipolitica: Origini e ruolo nelle crisi di regime in Italia

17/mag/2012

di Ugo Di Girolamo

Vi è una antipolitica classica, che risale ai tempi di Aristotele e attraversa tutta la storia europea, che esprime il rifiuto totale della politica, vista come pura lotta di potere.  Connessa ad essa è la posizione di quote più o meno rilevanti delle società umane che della politica si disinteressano completamente, ritenendo più utile occuparsi della quotidiana lotta per la sopravvivenza, lasciando ad altri le incombenze della politica.

Ma l’antipolitica cui facciamo riferimento, oggi, in Italia, è quel sentimento di astio verso l’intero ceto politico che esplode ciclicamente nella storia d’Italia al manifestarsi di crisi profonde del sistema politico-istituzionale.  Un sentimento generalizzato di disprezzo che accomuna i gestori politici del governo e quelli all’opposizione, identificati questi ultimi uguali e con gli stessi vizi di quelli della maggioranza.

Una  antipolitica  assoluta  che porta al rifiuto dell’intero ceto politico, del quale si ritiene di poter fare a meno, è quella di Guglielmo Giannini e del suo Movimento dell’Uomo Qualunque. Per Giannini dei politici – gente che rompeva solo le scatole – si poteva fare a meno, bastavano dei semplici ragionieri che tenessero i conti dello Stato e che a fine anno dovevano definitivamente lasciare l’incarico per evitare che sviluppassero tendenze politiche. Il Movimento dell’uomo qualunque svolse un certo ruolo nel travagliato periodo postbellico per esaurirsi rapidamente dopo le elezioni del ’48, anno nel quale prese forma definitiva la prima repubblica.
 
Accanto al sentimento di ripulsa che investe l’insieme del ceto politico vi è una componente dell’antipolitica che è propositiva, che tende ad affermare nuovi metodi del fare politica radicalmente antitetici, quantomeno nella fase iniziale, a quelli del precedente regime.
Qual è l’origine dell’antipolitica?
 
“Se provate a chiedere in giro [in Francia] cosa sia l’antipolitica vi guarderanno stupefatti”, afferma Paolo Franchi, sul Corriere della Sera. Opinioni del 12 maggio, come a dire non capiscono di cosa state parlando. Benché una quota di antipolitica sia presente in tutte le democrazie occidentali, espressione di quelle frange di popolazioni che si disinteressano di tutto, occupate solo dai loro casi personali, il fenomeno dell’antipolitica così come si è manifestato ripetutamente nella storia italiana resta unico e peculiare del nostro Paese. La profonda differenza tra noi e i francesi in relazione a ciò è dovuta al modo nel quale si è affermata la borghesia come classe dirigente nei due Stati. Nel 1789 la borghesia francese guida il processo rivoluzionario di liquidazione dell’ancien regime, ma ad esso non sono estranei il proletariato parigino, che il 14 luglio dà l’assalto alla Bastiglia, né i contadini che nel mese e mezzo successivo assaltano i castelli della campagna francese cacciando via i nobili, proprietari terrieri. La borghesia dovrà tener conto di questo dato che segnerà indelebilmente la storia della Francia contemporanea. In Italia, la debole borghesia diverrà classe dirigente, politicamente egemone, nel compimento del processo di unità nazionale. Nel 1859 la penisola, fatta eccezione per il Piemonte, presentava una miriade di Stati assoluti, dove il ruolo delle classi nobiliari era centrale e decisivo.
 
Fatta eccezione per i contadini siciliani, accorsi in massa con Garibaldi con la speranza di ottenere la terra dei latifondi, ma che invece ricevettero solo fucilate la dove si spinsero un po’ oltre nella rivendicazione (come nel catanese), la gran massa dei contadini italiani, che rappresentavano l’80% della popolazione, dalla Calabria al Veneto restò sostanzialmente estranea alla costituzione di un regno unitario a regime liberale. Nel 1849, dopo la proclamazione della Repubblica Romana, nessun contadino diede l’assalto alle terre della chiesa e dei nobili. Nessuna battaglia di Valmy c’è nella nostra storia risorgimentale, ma solo lazzari, sanfedismo e brigantaggio. Il primo parlamento italiano fu eletto da 419.000 borghesi aventi diritto per censo, su una popolazione di 22 milioni di abitanti. Bisognerà aspettare 51 anni per avere il quasi suffragio universale maschile. Per la fine del latifondo molto di più. Il rifiuto di una riforma agraria, la debolezza del proletariato di fabbrica e il lungo monopolio politico borghese, unitamente ad un clientelismo sfrenato da nord a sud e alla corruzione, alimentarono la profonda estraneità dei ceti popolari italiani al proprio Stato, alle proprie istituzioni. Giolitti pensava di superare questa estraneità verso le istituzioni con la concessione del suffragio universale, ma senza modificare i rapporti tra ceti sociali ricchi e quelli poveri, senza incidere sul tessuto economico. Analogamente, il fascismo pensò di risolvere il problema con una politica di intromissione nel sociale, con la retorica nazionalistica e l’aggressività sul piano internazionale. Con la Costituzione del ’48 si sarebbe potuto finalmente porre fine a questa permanente estraneità di larghe fasce di popolazione, ma tutto fu sacrificato sull’altare della dura contrapposizione tra comunismo e anticomunismo. Un clientelismo sfrenato, dall’una e dall’altra parte, unitamente alla onnipresente corruzione, non aiutò certo la formazione del cittadino democratico: titolare dei diritti a lui riconosciuti dalla Costituzione, ne è di fatto largamente deprivato dalla politica. Il rapporto politico / cittadino fondato sul modello dell’appartenenza e dello scambio voto contro favore non poteva non perpetuare il sentimento di estraneità e di ostilità. Nemmeno il crollo del comunismo e lo scoppio di “mani pulite” servì a modificare questo dato, al contrario si esasperò ancora di più.
Corruzione, clientelismo, rapporti con le mafie e le massonerie, rifiuto di sottostare ai controlli di legalità, rappresentano i caratteri distintivi del ceto politico italiano sin dalle origini e fino ai giorni nostri.
Certo non si vuole ridurre la storia d’Italia solo a questo, il popolo italiano nei 150 anni di unità ha conosciuto crescita economica e culturale. Tuttavia questo filo di estraneità e di ostilità tra cittadino, politico e istituzioni è un dato permanente che attraversa i 4 regimi che hanno sinora caratterizzato la nostra storia politico-istituzionale. Questo “substrato” costituisce il lievito su cui ha prosperato sia l’antipolitica assoluta che quella propositiva, che esplode puntualmente ad ogni crisi di regime.
Il ruolo dell’antipolitica
 
Per Sergio Romano e Massimo Salvadori la storia politica italiana procede per regimi, al primo monarchico-liberale è seguito il fascismo, poi la repubblica e dopo la crisi del 92/94 la 2° repubblica. Si può parlare di seconda repubblica benché la Costituzione sia rimasta sostanzialmente quella del ’48 in quanto una serie di leggi ordinarie hanno introdotto modifiche rilevanti alla costituzione materiale, in primis le leggi elettorali.
 
Oggi, con il governo tecnico, sembra iniziata una fase che ci porterà alla terza repubblica.
 
Caratteristica costante dei quattro regimi è la delegittimazione a governare delle forze politiche che di volta in volta hanno rappresentato i ceti popolari. Nel primo a repubblicani e socialisti era vietato di fatto il governo del paese. Durante il fascismo nessuna forza politica di opposizione aveva diritto di esistere. Con la prima repubblica erano i comunisti gli esclusi per principio. Nella seconda, per Berlusconi chiunque si opponeva a lui era comunista e come tale delegittimato.
 
E’ nelle fasi acute di crisi, che hanno segnato il passaggio da un regime all’altro, che l’antipolitica, sia assoluta che propositiva, è emersa con vigore svolgendo un ruolo nei processi di trasformazione. La critica radicale e generalizzata al vecchio sistema politico, alle sue corruttele, alle sue incapacità di dare le risposte che la crisi in corso avrebbe richiesto e nel contempo la proposizione di nuovi modelli, almeno nei casi del ‘24 e del ‘94, è funzionale al passaggio ad un nuovo ordine politico-istituzionale.
 
Nel 22/24 l’antipolitica propositiva assunse la forma di una radicale critica alle istituzioni parlamentari (il fascismo era nemico della corruzione parlamentaristica, diceva Gentile). Per la verità la critica violenta al parlamentarismo non era appannaggio del solo fascismo, anche socialisti massimalisti e comunisti vi si applicavano e anche per loro la denigrazione delle istituzioni parlamentari e dei comportamenti dei politici era il prodromo per un nuovo regime: quello socialista.
 
Nel 46/48 l’antipolitica del Movimento dell’uomo qualunque assunse la forma della ripulsa integrale della politica. Questo carattere radicale le impedì di svolgere un ruolo incisivo e dopo il ’48 il movimento si andò rapidamente esaurendo.
 
Al contrario, nel ‘94 l’antipolitica propositiva di Berlusconi, il non politico, l’imprenditore di successo prestato alla politica, giunto all’improvviso sulla scena per far piazza pulita del “regime partitocratico”, giocò un ruolo assolutamente decisivo nella sconfitta della sinistra, individuata come parte del vecchio sistema partitico.
La collocazione dell’antipolitica.
Mussolini, Giannini, Berlusconi erano uomini di destra, oggi Grillo si presenta con la sua antipolitica propositiva con una collocazione – a suo dire – né di destra né di sinistra. I flussi di militanti e voti verso il suo “Non-partito” provengono prevalentemente da sinistra, come pure le forme di democrazia diretta che adottano i gruppi operanti nel concreto delle singole realtà amministrative farebbero pensare ad una collocazione a sinistra, seppur antitetica a quella già esistente. Altre caratteristiche, al contrario, inducono a ritenere Grillo uomo di destra.
 
E’ Grillo che ha elaborato e gestisce inappellabilmente, con il suo personale staff di collaboratori, le regole di vita (il Non-Statuto) di M5s. Allo stesso modo elabora proposte, strategie e tattiche del suo Non-partito. Inoltre, il rapporto diretto con i cittadini, mediante la rete e i comizi-spettacolo, saltando ogni mediazione del suo stesso Non-partito, colorano questo politico di populismo.
 
Per questi aspetti – struttura politica autoritaria e esclusiva ricerca di contatto diretto con il cittadino – sembra di trovarsi di fronte al primo Berlusconi di Forza Italia.
 
Alcune recenti prese di posizione di Grillo durante la campagna elettorale amministrativa preoccupano ancora di più.
  • Andare a Palermo a sostenere che partiti e Stato sono peggio della mafia equivale a mettersi in sintonia e avallare il mantra secolare della subcultura collaterale mafiosa: “ la mafia sta a Roma”. L’affermazione di Grillo, di per sé già grave se pronunciata al Nord, lo diventa ancora di più a Palermo, perché dai clan può essere interpretata come un segnale di disponibilità. Serve a poco dire che in altre occasioni si è pronunciato contro la mafia, in Sicilia diversi politici attivi nell’antimafia si sono poi rivelati dei collusi. Chi è sospettoso ha quindi argomenti per sospettare.
  • Altrettanto sconcertante è la difesa di Bossi che a suo dire sarebbe vittima di un complotto.
  • Infine, l’affermazione di essere favorevole all’uscita dell’Italia dall’euro con una svalutazione della lira al 60% lascia basiti. Qui i casi sono due: o ci troviamo di fronte a un “dilettante allo sbaraglio” che in quanto tale può risultare tossico per l’Italia, oppure siamo di fronte a un disegno luciferino che, massacrando una buona metà della popolazione (salariati e pensionati), punta a far galleggiare quel che resterà dell’imprenditoria italiana.
E’ fuor di dubbio che i gruppi di M5s, operativi nelle singole realtà amministrative, spingano per un radicale rinnovamento del fare politica, ma è altrettanto chiaro che Grillo, con il suo autoritarismo condito da un linguaggio politico violento e volgare, rappresenta un pericolo politico e alla fin fine un ostacolo a che le modalità nuove del far politica dei gruppi di M5s possano affermarsi e sostituire le insopportabili pratiche dei partiti della 2° repubblica.
Le trappole della sinistra
 
A parte i sei anni e mezzo del 1° e 2° governo Prodi, l’Italia nei suoi 150 anni di unità è stata sempre governata dalla destra, a volte quella autoritaria e più spesso quella moderata, quest’ultima per alcuni periodi si è avvalsa della collaborazione minoritaria di parte della sinistra.
 
Ad ogni crisi di regime la sinistra è stata sistematicamente sconfitta.
 
Questo problema sollevato da Massimo Salvadori nel 2005, non ha ricevuto sinora risposta. Di certo però un ruolo notevole per queste ricorrenti sconfitte lo ha giocato proprio l’incapacità della sinistra a costruire un corretto rapporto tra cittadini e politica, tra cittadini e istituzioni. In altri termini, l’incapacità a proporre e praticare: la fine della dilagante corruzione, dell’onnipresente clientelismo (con correlata negazione della meritocrazia), la fine dei rapporti tra politica, mafie e massonerie, l’accettazione dei controlli di legalità sull’operato della politica. Tutto questo avrebbe portato al superamento di quella separazione tra istituzioni e cittadini che percorre l’intera storia italiana. Vi sono sicuramente altre cause e contingenze storiche che concorrono a spiegare le ricorrenti sconfitte della sinistra nelle varie crisi di regime, ma di sicuro il lasciarsi individuare – come nel ‘94 – parte del vecchio regime da spazzar via è una grave responsabilità dei gruppi dirigenti della sinistra, è il segno della loro incapacità a comprendere i pericoli dell’antipolitica e del malessere profondo che la esprime.

Tra i commenti:

Mi stupisce che in questo articolo si parli di mafie e massonerie e ciononostante si insista sul concetto di destra e sinistra. La cupola del potere non ha bandiera, comanda attraverso infiltrazioni trasversali la cui esistenza solo adesso grazie alla rete sta diventando piano piano di pubblica diffusione, e Grillo certe cose le dice da 20 anni...
  1. Destra e sinistra sono concetti legati all'essenza stessa delle democrazie rappresentative, nelle quali le varie forze politiche si assumono la rappresentanza dei diversi strati sociali o classi che dir si voglia. Quanto poi queste forze riescano effettivamente a rappresentare gli interessi di determinati strati sociali è altra cosa, oggetto di valutazione elettorale. Ma il breve commento da lei lasciato suscita delle preoccupazioni molto serie. Secondo il suo schema vi sarebbero in Italia due sole forze contrapposte: da una parte la cupola del potere trasversale che include destra e sinistra, dall'altra vi è il movimento 5 stelle con a capo Grillo in lotta da 20 anni contro di essa. Ne consegue che il vostro obiettivo è sostituire per intero questa "cupola trasversale", ma cosa avete in testa una nuova dittatura??